Lavoro, le (tante) ricette dei partiti Unica nota comune: l’occupazione

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Lo si ritrova pure in Rivoluzione Civile e nel Movimento 5 Stelle. Ma poi, ovviamente, le proposte economiche per rilanciare la crescita del Paese e introdurre maggiore equità  sociale sono molto differenti. Con Grillo e Ingroia che tornano a chiedere l’abolizione della legge Biagi mentre il Pdl vuole il recupero di quello Statuto dei lavori immaginato dal giuslavorista ucciso dalle Brigate rosse e che non ha mai visto pienamente la luce. Nei programmi ancora in via di definizione dei quattro partiti principali che indicano il candidato premier, prevalgono i riferimenti generali e le linee di intervento ma raramente si entra nei particolari. Il più dettagliato per ora sembra il programma del Pdl dove, alle voci welfare-lavoro-imprese, sono elencati una trentina di punti, alcuni estremamente precisi, altri volutamente generici. Come il tetto alle «pensioni d’oro»: si ipotizza chiaramente ma non si quantifica il tetto cosa che, a onor del vero, fa solo Grillo, chiedendo lo stop agli assegni oltre i 5 mila euro netti al mese. Per il resto, si può cogliere una tendenza del Pd a convergere su alcune tesi illustrate dalla Cgil, mentre sono più marcate le «dichiarazioni» e i contenuti del Pdl in appoggio alle agende di Confindustria e di Rete Imprese Italia. Il Pd è il partito che più di tutti mette al centro della sua analisi il problema del lavoro, ma è anche quello che non si avventura troppo nei dettagli del suo pacchetto di riforme, forse spinto dalla necessità  di avere le mani più libere possibili per negoziare intese con i suoi probabili quanto diversi futuri alleati nei «movimenti» guidati da Nichi Vendola e Mario Monti. Un altro elemento che si trova, anche se con diverse formule, in tutte e quattro le agende è l’introduzione di un sussidio che garantisca chi perde il lavoro. La grande emergenza della disoccupazione è al primo posto per tutti.
Roberto Bagnoli


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