Molotov contro il palazzo di Morsi

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Ha resistito solo pochi giorni la tregua seguita alla settimana di battaglie violentissime (almeno 60 vittime) scatenatesi soprattutto nelle città  del canale di Suez nel secondo anniversario della Rivoluzione. L’escalation aveva portato Morsi a decretare nell’area lo stato di emergenza e quindi i militari, dopo aver preso posizione senza però intervenire, avevano messo in guardia la classe politica che «l’Egitto è ormai vicino al collasso». Le posizioni del presidente islamico e quelle dell’opposizione riunita nel Consiglio di salvezza nazionale però restano lontane. Giovedì, sotto gli auspici del grande imam di Al Azhar Ahmed Al Tayyeb, per la prima volta si sono incontrati esponenti del Csn e dei Fratelli musulmani. Ma il risultato della riunione è stato solo un comune impegno a non ricorrere alla violenza. Ieri il Nobel Mohammed ElBaradei, tra i leader del Csn, ha smentito ogni coinvolgimento del Consiglio nell’assalto al palazzo dove la protesta era iniziata nel pomeriggio con un sit-in pacifico. ElBaradei ha però rivendicato il diritto a protestare fino a quando le richieste dell’opposizione non saranno esaudite. Le più importanti sono la formazione di un governo di unità  nazionale e elezioni presidenziali anticipate rispetto alla prevista scadenza nel 2017. La presidenza, in vari messaggi su Twitter, ha invece ribadito ieri notte l’«assoluta fermezza contro le violenze» e lanciato nuove accuse all’opposizione.


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