Il bilancio espansivo che servirebbe all’Europa in crisi

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Quella di stimolare un movimento, che parta dal basso e tenda a coinvolgere il Parlamento europeo e le forze di sinistra e sindacali in modo trasversale in Europa, che abbia come obiettivo la creazione di un vero “bilancio federale europeo” (i nomi contano), che punti a crescere gradualmente fino a coinvolgere il 10% del Pil europeo. Tale bilancio dovrebbe essere alimentato non solo da entrate automatiche da talune imposte o da una Tobin tax europea, ma anche da deficit monetizzati direttamente dalla Bce (…). Inizialmente, lo stesso risultato potrebbe essere parzialmente conseguito stabilendo opportune triangolazioni con la Bei.
Tale bilancio dovrebbe essere riservato al finanziamento di beni pubblici di rango europeo (ricerca, educazione universitaria, salute, ambiente) e di politiche industriali, organizzate intorno a programmi rivolti a fare dell’Europa un polo competitivo planetario. Si può riprendere il discorso dell’Europa della conoscenza, destinandovi risorse non marginali. La scommessa deve essere grossa, suscitare entusiasmo, creare ottimismo.
Occorre inoltre, complementariamente, ricondurre le banche alla loro funzione più naturale, ancorché non esclusiva, di finanziare gli investimenti in attività  direttamente produttive, consentendo al contempo che i bassi tassi di interesse praticati dalla Bce nei confronti delle banche si traducano in tassi bassi anche per i destinatari dei prestiti. A questo fine occorrono poche cose, semplici ma scandalose.
La prima è che alle banche venga fatto obbligo di detenere una quota degli impieghi nella forma di crediti alle attività  produttive in campo reale, in particolare industriale e agricolo, predisponendo al contempo qualche accorgimento intelligente, ad esempio che le banche che hanno impieghi industriali in eccesso sul vincolo possano “vendere” alle banche sotto quota dei vouchers usabili per il rispetto del vincolo. Occorrerebbe anche ammettere che per le istruttorie le banche possano rivolgersi ad agenzie specializzate in tali tipi di investimento. La quota obbligatoria dovrebbe essere modulata in funzione della congiuntura e delle politiche industriali europee.
Andrebbero al contempo costituiti, con interventi pubblici, fondi di garanzia specializzati per i diversi tipi di credito. In tal modo le banche non potrebbero più invocare un premio eccessivo sui prestiti con la scusa del rischio, sicché gli effetti dei bassi livelli del tasso di sconto si dovrebbero trasferire all’economia reale, quanto meno in presenza di un controllo antitrust efficace. I costi pubblici di tali interventi sarebbero bassi, visto che il rischio a carico di un canestro di crediti è minore di quello dei singoli crediti.
La versione completa dell’articolo è su www.sbilanciamoci.info


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