IL RICATTO DELLA SETE

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Si poteva trascurare l’esito del referendum del 2011? O bisognava prenderlo sul serio, alleggerendo le tariffe del 7% di «remunerazione del capitale» che il referendum prendeva di mira? Nell’attesa del responso l’Autorità  prendeva per buoni i bilanci dei gestori che mantenevano il 7%, occultandolo in qualche forma. Veniva suggerito di scrivere «costo della risorsa finanziaria» invece di «remunerazione del capitale». Ora il consiglio di stato ha risposto «confermando quanto precedentemente affermato dalla Corte Costituzionale: dal 21 luglio 2011, data di proclamazione della vittoria referendaria, la remunerazione del capitale investito doveva cessare di essere calcolata in bolletta».
Parlare di risorsa finanziaria invece che di remunerazione del capitale non è solo un gioco di parole per confondere le masse e mantenere tutto immutato, strizzando l’occhio agli amici informati e ai loro amici, industriali e banchieri. C’è anche dell’altro, molto preoccupante. Si prefigura, nel sistema di grandiosi investimenti idrici che si renderanno forse necessari nel futuro e per i quali potrebbe servire un finanziamento altrettanto grandioso, anche quale sarà  l’autore degli interventi; anzi se ne scrive già  il nome: «Risorsa» e il cognome: «Finanziaria»; insomma un mago della finanza; uno di quelli che presta oggi e si fa pagare per tutti gli anni seguenti, tenendo un elegante cappio intorno al collo del debitore che è una città , una regione intera. In questo caso idrico il contratto-ricatto sarà  anche più efficace e pulito perché costringerà  alla sete l’intera popolazione, lesinando anche la goccia d’acqua a chi si rifiuterà  di pagare.
Senza saperlo abbiamo allora raggiunto un giorno felice? La maggioranza della popolazione potrebbe davvero fare festa; i 27 milioni di sì del 12-13 giugno 2011 potrebbero essere contenti di avere vinto allora e della conferma autorevole delle proprie buone ragioni. Per una volta si potrebbero trascurare le abituali cattive notizie che ci perseguitano. Solo che poche persone lo verranno a sapere…
L’acqua pubblica non piace alle grandi agenzie di notizie che dunque non le danno soverchio spazio, provoca il prurito al grande padronato che amministra i giornali e che sull’acqua privata ci contava; distrae i partiti, che in larga maggioranza considerano uomini e donne come pecore da contare, soprattutto in tempo di elezioni. E pensano all’acqua, bene pubblico, come a una tematica assai strana che in definitiva è loro estranea.


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Il trionfo del buon senso

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D’accordo, c’è Berlusconi che ha stancato, c’è la nausea per un’astensione biforcuta e incivile che ha giocato un ruolo. Ma ciò che ha vinto sull’acqua è soprattutto la semplicità  e l’assenza di partigianeria del messaggio. Ha vinto il «sì» all’acqua libera quella che non può essere forzatamente affidata ai privati creando in Italia, di fatto, un arcipelago di monopoli ex lege. C’è, nel «sì» degli italiani, la difesa dell’acqua autogestita, controllata dal basso, dai privati come dal pubblico, e c’è la levata di scudi contro l’irruzione a gamba tesa della finanza creativa e il suo desiderio, nemmeno dissimulato, di fare dell’acqua – o meglio della nostra sete – l’ultima frontiera del business, di fronte all’inaridirsi degli altri mercati. Un «sì» che, definitivamente, non è né di destra né di sinistra, ma solo di santissimo buonsenso.

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