La fuga per il lavoro dei giovani iberici colpiti dalla crisi

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Il ministro Fà¡tima Bà¡à±ez, però, ci aggiunge del suo per attirare su di sé più attenzioni di quante il ruolo e la catastrofica gestione del ministero non implichino di per sé. Per esempio, con spunti da tragicommedia come quello con cui ha cercato di spacciare per positivo l’ennesimo segnale d’allarme che emerge dallo studio sulla popolazione attiva riguardante l’ultimo trimestre del 2012. Il gioco di prestigio riguardava il dato sulla disoccupazione nella fascia d’età  16-25, sceso – secondo il rapporto dell’Instituto nacional de Estadistica – di 40.000 unità . Unico appiglio, per la Bà¡à±ez, nel desolante panorama dei numeri forniti dallo studio, che ha fotografato un generale ed ennesimo aumento della percentuale generale dei senza lavoro, ora in bilico intorno al 25%, mentre quella degli under 30 supera la vertiginosa quota del 55%.
Un appiglio, però, che si è rivelato molto scivoloso, dato che il miglioramento del dato sull’impiego dei giovanissimi è dovuto (ma questo il ministro lo ha taciuto) non alle alchimie «riformiste» del governo – che poi sono quelle imposte dalla Troika – quanto piuttosto all’effetto del crescente flusso migratorio che sta portando sempre più giovani spagnoli a cercare lavoro fuori dal paese. Parallelamente alla diminuzione degli under 25 disoccupati, infatti, lo studio rileva che 160.000 giovani nella stessa fascia d’età  si sono volatilizzati dalle liste di collocamento. Bisognerebbe probabilmente cercarli in Germania o in Inghilterra, le mete più gettonate da questa nuova generazione di emigranti. Un fenomeno che sta acquisendo una consistenza preoccupante, se si considera che – sempre secondo i dati dell’Instituto Nacional de Estadistica – i flussi migratori presentano dal 2011 un saldo negativo: ovvero, sono più le persone che abbandonano il paese che quelle che vi si stabiliscono. Un capovolgimento sorprendente nella sua bruciante rapidità , soprattutto tenendo conto che solo fino a poco tempo fa il paese iberico è stato meta di immigrazione. Di quella, ovviamente, proveniente dall’America Latina (che ora però fa la valigia e torna dall’altra parte dell’oceano contribuendo alla diaspora lavorativa e al cosiddetto fenomeno dell’emigrazione di ritorno), ma anche di quella Europea attratta dalla bonanza degli anni ruggenti del primo governo Zapatero e delle bolla immobiliare.
Andrebbe poi aggiunto che l’emorragia di giovani forze (ennesima epidemia con focolaio in terra spagnola, ma con alto potenziale di contagio) ha un alto costo economico e sociale e costituisce un’ennesima pietra d’inciampo per la tanto attesa – e tanto lontana – ripresa spagnola.
Con questo stillicidio di risorse, infatti, il paese non può recuperare i frutti dell’investimento formativo del quale invece traggono beneficio (e a costo zero) gli altri paesi. Non è un caso, infatti, che l’anno scorso l’ambasciata tedesca in Spagna abbia pubblicato sul suo sito un annuncio per reclutare ingegneri, con l’effetto di provocare un letterale intasamento dei corsi di tedesco nelle università  spagnole.
Ma il fenomeno non si restringe alla cosiddetta «fuga di cervelli», che pure sta spargendo spagnoli per il mondo – dopo il taglio del 39% alla ricerca scientifica dal 2008 ad oggi. Il lato davvero triste di questa nuova ondata di emigrazione è che sta coinvolgendo anche lavoratori senza una specifica qualifica o senza un alto livello di istruzione. D’altra parte il dato in esame riguarda la fascia di cittadinanza tra i 16 e i 25 anni, quindi una parte di questi giovani – anche solo per per questioni anagrafiche – non è in possesso di un titolo universitario. Anche per fare i camerieri, insomma, bisogna fare le valigie e prendere l’aereo. Low cost, naturalmente.


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