Landini, quell’alleato sempre un po’ scomodo

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Per quanto la Fiom schieri nella prossima (possibile) maggioranza due esponenti come Giorgio Airaudo e Giovanni Barozzino (uno dei tre licenziati di Melfi), entrambi con Sel, Landini ci tiene a dire che «è bene non firmare nessuna cambiale in bianco», e che «il sindacato resta sindacato, autonomo da tutti, misurando qualsiasi esecutivo in base alle concrete azioni che compirà ». Insomma, la Fiom non pare disponibile a fare sconti, e se per il momento partecipa di fatto alla elaborazione programmatica del nuovo (ripetiamo, possibile) governo, non è detto poi che non sia pronta a ritornare sulle barricate. A lei, dobbiamo dircelo, tanto care.
Talmente autonomi, «che io avrei invitato tutti» – dice Landini a un certo punto. Forse riferendosi al mancato invito di Antonio Ingroia e del suo «Rivoluzione civile» alla kermesse Cgil, problema sollevato dal manifesto. «Anche Monti – incalza il segretario della Fiom – perché con tutti ci dobbiamo confrontare, e queste nostre proposte sono valide per tutti i partiti». Qui si nota una misurata presa di distanza dalla segreteria Cgil, che invece ha voluto pervicacemente «blindare» il palco per il quartetto d’assalto Bersani-Vendola-Amato-Barca. E nobody else.
Su altri due punti, il leader della Fiom ha «fatto le pulci» al Piano del Lavoro Cgil: il reddito di cittadinanza e il salario minimo garantito, che nel programma di Corso d’Italia non sono certo piatti forti. Nel Piano per il Lavoro si parla sì di rafforzare gli ammortizzatori sociali e di universalizzarli, di spingere sull’apprendimento continuo e il collocamento attivo – tutte operazioni utilissime per inoccupati e disoccupati – ma ci si ferma giusto un passo prima del reddito di cittadinanza, parlando di un generico «reddito di continuità  tra un lavoro e un altro». Insomma, per averlo, devi avere avuto prima almeno un lavoro.
Per Landini, invece, si deve parlare decisamente di un reddito di cittadinanza (di recente aveva aperto su questo punto perfino Pierluigi Bersani), ma anche di «salario minimo garantito», ovvero un salario minimo che il datore di lavoro deve assicurare, stabilito per legge. Esiste in tutta Europa, e ultimamente anche il Pd lo aveva fatto suo – notando che per i precari sarebbe un toccasana. Ma la Cgil, come d’altronde Cisl e Uil, per ora fa muro: il riferimento devono restare i contratti. E invece no, per Landini «dobbiamo riflettere sul salario minimo, perché quando i contratti nazionali sono derogabili, e per giunta sempre più persone non ci rientrano, come fai a spiegare alle persone che non hanno diritto a una retribuzione dignitosa? Leghiamolo ai minimi contrattuali, se vogliamo, ma parliamone».Un vero big push alla riottosa Cgil.
Altri punti «inderogabili» per Landini, tra i primi provvedimenti che il governo dovrà  adottare per non alienarsi il sostegno dei fiommini, «la cancellazione dell’articolo 8, voluto dalla Fiat e introdotto da Sacconi», e una «seria legge sulla rappresentanza». E infine, un intervento pubblico per sottrarre la proprietà  dell’Ilva ai Riva, famiglia «che ha dimostrato di non saperla governare». Una “nazionalizzazione” che la Fiom propone «con i soldi dello Stato, anche solo temporaneamente, ma coinvolgendo soprattutto gli altri imprenditori dell’acciaio».


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