Un Monti equidistante negli attacchi

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La metamorfosi del premier appare così radicale da non prefigurare nessun patto postelettorale con la sinistra di Pier Luigi Bersani; né con un centrodestra che Monti sogna senza Silvio Berlusconi e Lega.
La campagna elettorale ha certamente modificato la sua silhouette di presidente del Consiglio tecnico ed ecumenico, capace di mettere insieme un governo appoggiato da forze agli antipodi. Sta affinando una strategia fondata invece su una sorta di equidistanza polemica dai due schieramenti. La necessità  di dare spazio alla sua lista centrista o «riformista», come preferisce definirla, lo porta a colpire duro su Pd e Pdl.
Punta il dito contro i «troppi illusionisti» e raffigura «destra e sinistra» come categorie «del secolo scorso, che negli ultimi vent’anni hanno tenuto l’Italia «in piedi, seduta o in ginocchio». È un approccio che nasce dall’esigenza di rifiutare le logiche e gli schieramenti riproposti dalla sopravvivenza di una legge elettorale rifiutata a parole; ma tenuta in vita perché conveniva ai leader di partito. Monti sa di essere schiacciato, nel vecchio schema. Per questo si muove per scalfirlo e farlo saltare, se ci riesce, offrendosi come alternativa ad un sistema che, è convinto, riproduce immobilismo e coalizioni inadeguate.
Ma si sta rivolgendo ai partiti della sua maggioranza anomala: gli stessi che l’hanno sostenuto dal novembre del 2011. E dunque fa lievitare un’irritazione altrettanto equanime. Quando il segretario del Pdl, Angelino Alfano, afferma che l’Italia «va mondata da Monti», non c’è ombra di ammiccamento. E quando Bersani gli chiede di «non chiudere gli occhi sugli “esodati” e dire la verità », si intuisce un’ira tenuta a freno: tanto più dopo che ieri il presidente del Consiglio ha avallato la tesi del centrodestra secondo la quale nella crisi del Monte dei Paschi di Siena «il Pd c’entra, perché ha avuto sempre influenza sulla banca».
L’affermazione rende improbabile una ricucitura con Bersani. Eppure, è difficile che la strategia del premier cambi. Punta a rompere, a destra e a sinistra. E conta sull’eventualità  che alla fine tutti siano costretti a venire a patti con equilibri parlamentari precari: un’instabilità  che confermerebbe l’inadeguatezza degli schieramenti. Quando ieri Monti dichiara di non escludere neanche un accordo con il Pdl, non si contraddice. Non pensa infatti a quello berlusconiano che «blocca le riforme», ma a un Pdl «emendato» dal Cavaliere. Difficile non considerarla una visione onirica: almeno per ora.


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