Siena la rossa tradita dal potere

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«NON so se sono ancora amico di Giuseppe Mussari», dice Franco Ceccuzzi, quarantenne ex sindaco di Siena, candidato per il centrosinistra alle prossime elezioni comunali.
NEL 2001 Ceccuzzi è stato testimone di nozze del banchiere calabro-senese che ha nascosto in cassaforte il patto perverso con i giapponesi di Nomura per la gestione del derivato Alexandria. Quel patto che fa tremare Siena la “rossa”. Che fa crollare il Muro del Monte. Che ha rotto la tranquillità  di una provincia chiusa, ricca e orgogliosa, diventata negli anni un «groviglio armonioso», ossimoro, inventato da Stefano Bisi, massone di primo piano e direttore del Corriere di Siena, che è stato davvero la fotografia di questa città . Quel patto — ancora — che si insinua proprio come un “derivato” dentro la politica locale e non solo. Ceccuzzi è il primo che ha chiesto «discontinuità » rispetto alla pluriennale gestione di Mussari (cinque anni alla Fondazione, e quasi sei a Rocca Salimbeni). Anche per questo è saltata l’estate scorsa la giunta comunale. Sette consiglieri della maggioranza hanno bocciato il bilancio, come rappresaglia per essere stati estromessi dalla definizione della lista del Comune per il cda della banca. Ora a piazza del Campo c’è il commissario.
Perché questa è una storia anche di tradimenti. Questa è una città  tradita. Tradita dal “Babbo Monte” che irrorava, narcotizzandolo, il territorio con centinaia di milioni l’anno attraverso il bancomat della Fondazione e ora denuncia più di quattromila lavoratori in eccedenza con una perdita in bilancio arrivata a 6,2 miliardi, più della metà  del suo patrimonio netto. L’assemblea di oggi varerà  l’aumento di capitale per fronteggiare l’emergenza.
Siena, 55 mila abitanti, tradita da una classe dirigente autoreferenziale, chiusa in se stessa, consociativa. Che ha mortificato pure la sua gloriosa e antica Università  appesantita da un buco di 200 milioni di euro, cominciato a formarsi durante il rettorato di Luigi Berlinguer. Tradita, appunto, dalle lotte intestine del Pd, già  Ds e poi ancora prima Pds e Pci. Dalla sinistra.
«Forse è una tragedia. Di certo stiamo in una condizione di depressione psicologica», riflette Fabio Pacciani, dentista, rettore del magistrato delle contrade, l’organismo che rappresentante delle diciassette contrade del Palio. Continua: «Non ci sono più riferimenti, non si intravede un progetto. Non c’è nemmeno la giunta comunale. E’ una situazione devastante. Questa è una città  stordita, sorpresa, sgomenta. E preoccupata: in pochi anni si è depauperata una banca solida ». Il Monte ha chiuso i rubinetti anche per le contrade. Il nuovo ad, Fabrizio Viola insieme al presidente Alessandro Profumo, ha scritto che non doneranno più i 15 mila euro annuali a contrada. La banca, nata più o meno con le contrade nel ‘400, smette di fare il “protettorato”. Un brutto segno. Un segno di questo tempo. La prossima settimana ci sarà  un incontro per tentare di ritornare all’antico. «Avrebbe un valore simbolico», spiega Pacciani. Per quanto tutti sappiano ormai che il “modello Siena” è finito. Lo dice netto Cesare Cecchi, mega industriale del chianti, presidente della Confindustria locale: «C’è la consapevolezza che si vada rescindendo lo storico legame del territorio con la
propria banca e che quindi sia venuto meno un modello di sviluppo di cui Mps rappresentava certo una solida cinghia di trasmissione». Espressione che fa venire in mente altro. Per esempio che qui dal 1983 al 2011 il sindaco era dipendente del Monte e anche dirigente della potentissima Fisac, il sindacato dei bancari della Cgil, che fino all’ultimo ha difeso l’ex direttore generale del Monte Antonio Vigni. «Se tra le migliaia di iscritti alla Fisac ci sono alcuni che vengono eletti nel consiglio comunale non vedo cosa ci sia di strano. Non lo do per scontato, ma mi pare che sia naturale», sostiene Claudio Gucciardini, segretario della Camera del lavoro. Che parla di «grande rabbia dei senesi per essere stati sputtanati a livello planetario». Ha interrotto l’epopea sindacal-bancaria proprio Ceccuzzi. E ora contro di lui si stanno costituendo una serie di liste civiche trasversali. Il candidato sindaco, sostenuto dal Pdl che però non ci ha messo il simbolo, è il cardiochirurgo Eugenio Neri. Con lui si è  ostanzialmente schierata “Nero su bianco” l’associazione fondata a settembre da Alfredo Monaci, ex dc, ex pdl e anche un po’ ex pd, ora candidato nella lista Monti per la Camera. Alfredo Monaci è stato sempre nel board della banca ai tempi di Mussari, ed è fratello di Alberto, ex dc, presidente del Consiglio regionale toscano. Tra i sette dissidenti piddini che hanno provocato la caduta della giunta comunale, quattro — si dice a Siena — stanno con Alfredo Monaci e due con il fratello, una dei quali è la moglie Anna Gioia, mamma di Alessandro Pinciani, vicepresidente della Provincia. Con Neri ci sarebbe “Ora Siena” di Maurizio Cenni, ex sindaco, uscito dal Pd, con due suoi ex assessori, una dei quali è Daniela Bindi (già  Fisac), consorte di Fabio Borghi (già  Cgil) ed ex membro del cda del Monte. Si potrebbe andare avanti da un intreccio che tira l’altro. Questo è il “groviglio”, non più armonioso. Oggi c’è l’assemblea del Monte. E’ c’è pure Beppe Grillo. «E’ venuto a chiedere i dividendi. E’ giusto che sia così. Li chiedo anche io come azionista. E’ normale», sdrammatizza Ceccuzzi. E’ la normalità  che però Siena non c’è.


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A CHI PARLA LA SENTENZA

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Ieri Antonio compiva gli anni, voleva festeggiare ma non ci riusciva perché «ho un magone», diceva agli amici che lo chiamavano per fargli gli auguri. Quel magone aveva un nome, era l’attesa trepidante di una sentenza. Antonio è un operaio giovane e ottimista, sennò non avrebbe tre figli ai quali, da quando è in cassa integrazione perché è marchiato a sangue con la sua tessera Fiom in tasca, fatica a garantire il pranzo e la cena.

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