La terapia d’urto di Confindustria: piano da 316 miliardi per crescere

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ROMA — Discontinuità  e terapia d’urto contro il declino. La ricetta di Confindustria per rilanciare l’economia prevede la mobilitazione in cinque anni di 316 miliardi di risorse pubbliche e l’obiettivo minimo di una crescita del Pil del 2%. Al centro ci deve essere il rilancio dell’industria e del manifatturiero. E poi meno Irpef favorendo i redditi bassi e una Ires al 23%. In compenso verrà  armonizzata l’Iva verso l’alto eccetto i prodotti farmaceutici. Il progetto confindustriale, primo nel suo genere così dettagliato, prevede anche 40 ore lavorate in più all’anno ma pagate il doppio perché esenti da tasse e contributi e la stabilizzazione a 1 miliardo della detassazione per il salario di produttività . E poi il pagamento dei due terzi (48 miliardi) dei debiti della pubblica amministrazione per ridare ossigeno alle imprese. Ancora: credito di imposta strutturale del 10% sugli investimenti in ricerca e sviluppo, eliminazione progressiva del costo del lavoro dalla base imponibile Irap, sforbiciata dell’11% agli oneri sociali che gravano sulle imprese manifatturiere, taglio dell’1% della spesa pubblica all’anno. Alla fine di questo percorso si creeranno quasi 1,8 milioni di posti di lavoro e le famiglie del settore privato avranno una retribuzione annua più ricca di 3.980 euro.
Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi tira le orecchie al mondo della politica dicendosi «seriamente preoccupato perché, esaminando i programmi, riscontriamo insufficiente attenzione all’economia reale che in questo momento è il vero problema del Paese». E critica la riforma Fornero che sul mercato del lavoro «è stata insufficiente per una vera liberalizzazione del mercato» augurandosi che il prossimo governo arrivi a una «riformulazione più in linea con l’Europa». Ma la politica non bada alle critiche e fa proprie le proposte degli imprenditori. Per Pier Luigi Bersani, leader del Pd ed estensore, quando era ministro dello Sviluppo, dell’agenda Industria 2015 molto apprezzata dalle imprese, «Squinzi ha ragione, sono anni che non si discute dell’economia reale e spero che venga presto l’occasione per farlo visto che ci sono interi settori come l’edilizia, l’economia verde, le rinnovabili, che sono stati massacrati».
Anche i berlusconiani si allineano allo Squinzi-pensiero. Per il coordinatore dei dipartimenti del Pdl Renato Brunetta nelle «proposte di Confindustria ritroviamo non solo i principali punti del Popolo della libertà  per le prossime elezioni ma anche gli obiettivi in gran parte realizzati dell’ultimo governo Berlusconi». Più distinguo nel sindacato. Se Raffaele Bonanni (Cisl) condivide le parole di Squinzi «perché invita tutti a reagire, il suo tono è giusto» meno convinto è il segretario generale della Cgil Susanna Camusso. I contenuti generali delle proposte sulla produttività  e sul mercato del lavoro avanzate dalla Confindustria «a una prima lettura possono essere condivisibili, ma letti i titoli ora bisogna vedere lo svolgimento». Per la Camusso, inoltre, se le intenzioni di viale Astronomia sono di ottenere un’ulteriore «flessibilità  in entrata al mercato del lavoro, temo che non ci sia consenso».
Confindustria e la politica. Squinzi, nella conferenza stampa di presentazione della «sua» agenda ricorda più volte l’autonomia dell’associazione dai palazzi romani per rimarcare come le proposte vanno bene per qualsiasi governo si insedi dopo le elezioni. E a chi gli fa osservare che, tuttavia, due «autorevoli esponenti» come Alberto Bombassei e Giampaolo Galli si sono presentati il primo con Monti, il secondo con il Pd, Squinzi non nasconde il suo fastidio. «Autorevoli esponenti? Non mi pare appropriato, forse sono autorevoli esponenti del passato» commenta. Bombassei è stato per otto anni vicepresidente di Confindustria con Montezemolo e la Marcegaglia mentre Galli è stato l’ultimo direttore generale prima di essere sostituito a settembre da Marcella Panucci.
La sfera confindustriale prevede, se la sua ricetta verrà  adottata dal prossimo esecutivo «in modo pieno e coerente», un aumento del Pil del 3% già  nel 2017, una diminuzione all’8,4% del tasso di disoccupazione, una crescita degli investimenti del 55,8%, delle esportazioni del 39,1% e dei consumi delle famiglie del 10,7%.
Roberto Bagnoli


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