Istat: la crisi colpisce soprattutto il Sud. In Sicilia disuguaglianze record

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ROMA – Un’Italia in chiaroscuro, con il Nord in leggera ripresa e il Sud che continua ad arrancare, mantenendo in alcune regioni una disuguaglianza nella distribuzione del reddito ancora elevata. È questa la fotografia del nostro paese che emerge dal rapporto “Noi Italia”, presentato oggi a Roma dal presidente dall’Istat. “Al di là  delle problematiche in campo economico e sociale l’Italia è fatta di territori diversamente orientati. L’aumento delle esportazioni, ad esempio, ci dice che non tutta l’industria italiana è in crisi – sottolinea il presidente dell’Istituto Enrico Giovannini -. La recessione colpisce più il Mezzogiorno: se nel 2008 e 2009 ne avevano sofferto soprattutto le industrie del settentrione, ora che le industri esportatrici vanno bene soffrono di più quelle che producono per il mercato interno. Anche la domanda di servizi per la prima volta ha avuto una contrazione, così come il settore del turismo. Il Sud è quindi maggiormente in difficoltà   e crescono le famiglie a rischio povertà ”.

Tre milioni di persone in povertà  assoluta, in Sicilia disuguaglianza record. Nello specifico, secondo i dati nel 2011 la povertà  assoluta coinvolge il 5,2 per cento delle famiglie, per un totale di 3,4 milioni di individui. Le famiglie in condizioni di povertà  relativa sono, invece, l’11,1 per cento: si tratta di 8,2 milioni di individui poveri, il 13,6% della popolazione residente. Nel 2010 circa il 57% delle famiglie residenti in Italia ha acquisito un reddito netto inferiore a quello medio annuo (29.786 euro, circa 2.482 euro al mese). In Sicilia si osserva la più elevata diseguaglianza nella distribuzione del reddito e il reddito medio annuo più basso (il 28,6% in meno del dato medio italiano); sempre in questa regione, in base al reddito mediano, il 50 per cento delle famiglie si colloca al di sotto di 17.459 euro annui (circa 1.455 euro al mese). Inoltre, nel 2011 il 22,4 per cento delle famiglie residenti presenta almeno tre delle difficoltà  considerate nel calcolo dell’indice sintetico di deprivazione, con un aumento rispetto all’anno precedente di oltre sei punti percentuali. Il panorama regionale mette in evidenza il forte svantaggio dell’Italia meridionale e insulare, con un valore dell’indicatore pari al 37,5 per cento (dal 25,8% del 2010). Secondo il rapporto nei primi mesi del 2012, il 42,8% delle persone di 14 anni e più si dichiara molto o abbastanza soddisfatta della propria situazione economica. Il livello di soddisfazione diminuisce passando dal Nord al Sud del Paese, con una forte variabilità  regionale, ma non a livello di genere.

La spesa pensionistica è il 16 per cento del Pil. Nel 2011 in Italia la spesa per la protezione sociale è stata pari a circa 7.700 euro pro capite, circa il 30 per cento del Pil. Un valore appena superiore alla media dell’Unione. “Non è necessariamente vero che la spesa sociale nel nostro paese è troppo alta – sottolinea Giovannini – ma si può dire che è squilibrata in favore della spesa pensionistica. Il nodo è riuscire a trovare risorse per altre forme di welfare”. La spesa pensionistica è il 16,6 per cento del Pil; la maggior parte delle prestazioni (46,9%) e della spesa erogata (50,5%) si concentra al Nord. In generale secondo i dati negli ultimi anni è cresciuta la spesa per l’assistenza sociale gestita dai comuni in rapporto al Pil: si passa dallo 0,39 per cento del 2003 allo 0,46 per cento del 2009. In termini assoluti tale spesa ammonta a 7 miliardi di euro, con un valore medio pro capite pari a 115,9 euro. Nel 2010 la spesa per prestazioni sociali si attesta vicino al 19 per cento del Pil, con un importo pro capite pari a 4.844 euro. A livello territoriale, restanoo ampie differenze, con spese per prestazioni pro capite più elevate nelle regioni settentrionali. Nello stesso anno sono state erogate 23,8 milioni di pensioni, mentre la spesa complessiva è di circa 258,5 miliardi di euro. Nel 2010, per la prima volta dal 2004, si è registrato un calo della quota di comuni italiani che hanno attivato almeno un servizio tra asili nido, micronidi o altri servizi integrativi/innovativi per l’infanzia (55,2%). Per questo servizio la disparità  fra le regioni è particolarmente ampia: si passa, infatti, dall’11,8% del Molise al 99,5% del Friuli-Venezia Giulia. Nel 2010 la percentuale di bambini in età  0-2 anni che fruisce di servizi pubblici per l’infanzia raggiunge il 14%, in aumento di quasi 3 punti percentuali rispetto al 2004. La distribuzione dell’offerta pubblica di servizi sul territorio nazionale è molto disomogenea, con ampi divari fra il Centro-Nord (18,6%) e il Mezzogiorno (5,3%). (ec) 

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