Che «razza» di elezioni

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Di quelli palestinesi. E islamici. E dei pericoli economici. La famosa economia vincente di Netanyahu, il più fedele rappresentante del neoliberalismo in Israele, è sull’orlo di una crisi mentre ci informano che il deficit di bilancio è il doppio di quello che si valutava poche settimane fa. Abbiamo bisogno di un leader forte… che faccia pagare a salariati e poveri il prezzo dell’arricchimento dei ricchi. La pseudo-socialdemocrazia dei laburisti ha puntato sull’illusione che si può e si deve parlare di realtà  economica senza parlare di pace, territori occupati, colonie. Il leader Sheli Yehimovitz ha creduto in questa formula per convincere l’elettorato di destra. E per pura imbecillità  ha ripetuto: non siamo la sinistra, siamo il centro.
Qual’è l’unico campo in cui si è discusso seriamente del futuro, almeno di uno dei suoi aspetti? Il cinema! Un documentario israeliano, ora candidato all’Oscar, intervista gli ultimi sei direttori dello Shin Bet, uno dei più problematici servizi segreti di Israele. Quale il comune denominatore delle interviste? Si tratta di sei direttori dello Shin Bet che sono stati solerti e convinti rappresentanti della politica ufficiale di Israele, che hanno assassinato e represso, obbedienti servitori di diversi governi israeliani sulle questioni del conflitto israeliano-palestinese. Quasi vent’anni fa abbiamo pubblicato sul manifesto un’intervista a Yosi Ginosar, ex numero due dei Servizi, che ci sorprese con la sua visione del conflitto. Per semplificare: tutti loro sostengono l’urgente necessità  di giungere alla pace, persino – dice Abraham Shalom, uno di loro – se fosse necessario parlare con Hamas. Gli intervistati sostengono che l’attuale paralisi del governo Netanyahu mette in pericolo il futuro di Israele. Arrivare a due stati per due popoli è una necessità  israeliana, dicono: la politica avventurista del governo porterà  a una esplosione che è ormai prossima. E Yuval Diskin – che ha lasciato l’incarico solo da un anno e mezzo – aggiunge che quella di Netanyahu è una leadership irresponsabile, formata da gente preoccupata innanzitutto dei propri egoismi personali. Diskin, al pari del direttore del Mossad, si è opposto all’attacco all’Iran, sebbene non lo escluda totalmente in futuro. Peggio ancora, Diskin cita la scrittrice e giornalista Barbara Tuchman e il suo famoso libro (I cannoni d’agosto, ndt) sui leader che portano i loro popoli a disastri che era possibile prevedere.
Da Washington commenti messi in circolazione dalla Casa Bianca segnalano problemi simili: Netanyahu si occupa solo di tattica e mette a rischio il futuro del paese. Ma alle critiche, anche le più serie, il premier risponde da macho: «I pericoli e gli interessi di Israele li sappiamo noi, non Obama». Le liste del Likud, probabilmente il partito vincitore insieme a Israel Beitenu che gli contende il voto di destra, si distinguono per una qualità : i pochi rappresentanti della destra liberale hanno perso quasi tutti gli incarichi che avevano nel Likud – oggi unito in un fronte con il partito estremista di Lieberman – e sono più che rafforzati i rappresentanti della destra più estrema. E la questione è più seria del solito: molti dei futuri parlamentari sono nemici dichiarati delle istituzioni democratiche, altri sono razzisti, altri fondamentalisti. L’annessione dei Territori, le espulsioni – «non espellere ma blandire col denaro» – dei palestinesi, l’evidente razzismo contro i palestinesi e i lavoratori stranieri, la necessità  di ricostruire il Tempio distrutto nel primo secolo: tutto ciò è all’ordine del giorno in un’elezione da cui uscirà  una Knesset tra le più reazionarie che si siano mai viste nel paese.
Migliaia di giovani e centinaia di migliaia di israelo-palestinesi, emarginati dal sistema, dovrebbero disertare le urne. Il dipartimento palestinese della Lega Araba, dal Cairo, ha lanciato un richiamo al voto israelo-palestinese, ma è difficile credere che l’astensionismo possa cambiare drammaticamente di segno nelle prossime ore.


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