Buona politica in aiuto della scienza Ricetta per un capitalismo migliore
Appunto per questo, quando si produce un forte condizionamento politico dei partiti che sostengono un governo tecnico (come ad esempio è accaduto in Italia), le decisioni vincolanti sono guidate da una mescolanza di competenza scientifica e di volontà politica e la competenza scientifica è soprattutto il mezzo per realizzare il concetto che forze politiche quasi sempre contrapposte hanno del benessere del popolo che esse intendono guidare.
Tale concetto non ha un carattere scientifico. L’azione politica non è la scienza politica. Si dice, appunto, che la «politica» (l’azione politica) è un’«arte», avvolta quindi da quell’alone di arbitrarietà che compete a ogni arte. Accade quindi, al governo tecnico così inteso, che la scienza serva per realizzare una forma di non-scienza, tanto più lontana dalla coerenza scientifica quanto più accentuato è il contrasto delle forze politiche che sostengono tale governo. È vero che per Max Weber la scienza ha un carattere puramente strumentale, il cui scopo non ha un valore scientificamente appurabile; ma è anche vero che in questo modo la ragione vien posta al servizio della non-ragione, alla quale viene affidata la sorte del mondo. (Certo, si dovrà poi capire che cosa sta dietro la ragione scientifica).
Ma nei governi tecnici che agiscono nelle economie di mercato, il benessere del popolo, perseguito attraverso il condizionamento politico, è il benessere quale è inteso all’interno delle categorie della produzione capitalistica della ricchezza. In questa situazione, il capitalismo è la condizione ultima della politica e del governo tecnico: la politica è un mezzo di cui il capitalismo si serve. Chi si propone ancora, nel mondo democratico, una economia non capitalistica? Tolta qualche eccezione, anche le sinistre vogliono essere ormai lontanissime da ogni forma di marxismo o di economia pianificata. La contrapposizione tra destra, sinistra, centro ha un consistente denominatore comune, è una lotta all’interno del sistema capitalistico. Parlare dunque di un condizionamento capitalistico dei governi tecnici e della politica sembra soltanto un’ovvietà . E lasciarsi alle spalle la distinzione tradizionale di centro, destra, sinistra significa, innanzitutto, adottare correttamente e seriamente le regole dell’economia di mercato. Non è nulla di strano che il «riformismo» di Monti si rivolga a (quasi) tutte le formazioni politiche, facendo prender loro coscienza che (quasi) tutte, ormai, si muovono all’interno della logica capitalistica. Tecnica e politica sono un mezzo di cui il capitalismo si serve per realizzare i propri scopi.
Senonché nemmeno il capitalismo è scienza. La scienza economica può sostenere che esso è la forma più efficace di produzione della ricchezza, ma all’essenza del capitalismo appartiene il rischio, l’azzardo, mentre la scienza è essenzialmente la volontà di evitare che le proprie leggi siano leggi a rischio, azzardate, e dunque arbitrarie. Joseph Schumpeter, amico del capitalismo, ha sostenuto che la sua crisi è dovuta alla progressiva sostituzione del rischio con la routine delle procedure tecno-scientifiche. D’altra parte, anche per il carattere rischioso del proprio agire, il capitalismo si sente autorizzato a porre come scopo primario non già il benessere del popolo ma il continuo aumento del capitale. Anche per il capitalismo si deve dunque affermare che esso, assumendo come mezzo la tecno-scienza, fa sì che la scienza serva a realizzare la non-scienza, che la ragione (ossia ciò che oggi è considerato come «la ragione» per eccellenza) serva a realizzare la non-ragione.
Tuttavia, la situazione si complica ulteriormente quando accade che la dimensione tecnica del potere sia condizionata non soltanto dall’economia capitalistica, ma anche, e magari fortemente, dalla dimensione religiosa, per esempio dalla Chiesa cattolica. In questo caso, l’intento è di tenere insieme capitalismo, politica e cattolicesimo (evitando le degenerazioni dell’agire economico e politico), servendosi della tecno-scienza. La situazione si complica ulteriormente perché, mentre per il capitalismo lo scopo primario dell’agire economico e quindi del governo è l’incremento del profitto privato, per la Chiesa lo scopo primario di tale agire e di un governo giusto non deve essere il profitto, ma il «bene comune» quale è appunto concepito dalla dottrina sociale della Chiesa. Il capitalismo deve essere cioè un mezzo per realizzare questa forma del «bene comune». Mezzo, e non scopo.
La pretesa della Chiesa (vado ripetendo da tempo) che il capitalismo abbia come scopo il «bene comune» e non il profitto è volerne (inconsapevolmente?) la distruzione. A sua volta il capitalismo, assumendo come scopo primario il profitto, vuole, a volte non rendendosene conto, la distruzione della società cristiana. È un problema, questo, che non riguarda soltanto l’«agenda» Monti, ma tutte le presumibili coalizioni che governeranno l’Italia. (Quasi vent’anni fa, in un articolo sul Corriere poi incluso in Declino del capitalismo, Rizzoli, 1993, avevo preso in considerazione la proposta di Monti al Convegno di Cernobbio di quell’anno, di tenere insieme efficienza — capitalistica — e solidarietà — cristiana — e avevo mostrato le difficoltà a cui va incontro non solo tale proposta, ma ogni progetto politico che intenda conciliare democrazia, capitalismo, cristianesimo).
Dico questo, per rilevare come anche, ma non solo, in Italia si renda percepibile quella gigantesca trasformazione del mondo che è costituita dalla crisi del capitalismo (e del cristianesimo — e della politica). Un governo che assuma come scopo primario sia l’efficienza sia la solidarietà assume infatti uno scopo che non può essere né quello del capitalismo né quello della Chiesa, i quali non intendono avere al loro fianco, in posizione paritaria, alcun altro scopo (ma dove l’efficienza subordina a sé la solidarietà , servendosene, e la solidarietà , a sua volta, subordina a sé l’efficienza, servendosene). Se tale governo crede di poter mantenere in posizione paritaria sia l’efficienza capitalistica sia la solidarietà cristiana si illude, cioè si propone di realizzare una contraddizione. Ciò non significa che tale proposito non abbia a realizzarsi, e magari con risultati soddisfacenti: significa che tali risultati saranno inevitabilmente provvisori, instabili, ossia che quel proposito non potrà mai ottenere ciò che crede di poter ottenere. Come di regola accade lungo il corso storico.
Comunque, sia illudendosi di unire efficienza capitalistica e solidarietà cristiana (e politica) sia evitando questa contraddizione, dando quindi vita a un nuovo senso dell’efficienza e della solidarietà e dunque della loro unione, proporsi come scopo tale unione servendosi delle competenze tecno-scientifiche è pur sempre un agire in cui la forma oggi ritenuta la più rigorosa della razionalità umana (la tecno-scienza, appunto) è posta al servizio di forme meno rigorose di tale razionalità . Cioè la potenza di quell’agire è posta al sevizio della non potenza. E la potenza, la capacità di realizzare scopi, è insieme la ricchezza di un popolo.
Proporsi, come accade nell’«agenda Monti», di eliminare le degenerazioni della politica e dell’economia è però un passo avanti nella direzione lungo la quale si finisce col capire che le società diventano potenti e ricche non eliminando la «cattiva» politica e la «cattiva» economia, ma mettendo la buona politica e la buona economia (che anche risanate sono pur sempre forme meno rigorose dell’agire razionale) al servizio della tecnica guidata dalla scienza — della tecnica il cui scopo è precisamente l’aumento indefinito della potenza.
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