Caso quote latte, nuove perquisizioni Maroni: noi estranei

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MILANO — C’è chi lo definisce «fregolismo giudiziario»: si mette su una cooperativa di allevatori che raccoglie il latte e le multe da versare allo Stato quando vengono sforate le quote, la si fa fallire senza versare nulla all’erario, ci si trasferisce in un’altra regione e si ricomincia da capo anche grazie a qualche funzionario pubblico oliato a suon di mazzette. A caccia delle tracce di questa attività  frenetica la Procura di Milano ha perquisito l’ufficio della segretaria di Umberto Bossi nella sede della Lega a Milano e quello di un’impiegata della sede di Torino in un’indagine per bancarotta fraudolenta e corruzione che non vede coinvolto né il partito né uomini del Carroccio e neppure le due donne.
Le quote latte sono state e sono un problema per molti allevatori costretti a faticare per non incorrere nei rigori delle leggi comunitarie che, per evitare che l’eccesso di offerta faccia crollare i prezzi di mercato, fissano una «quota», un tetto di produzione per ciascun produttore. Chi sfora viene multato. Il ricavato del «prelievo supplementare» e le stesse sanzioni devono essere girate dalla cooperativa (che prende la qualifica pubblica di «Primo acquirente») allo Stato il quale le versa alla Ue. Un sistema mal digerito dagli allevatori al quale quelli onesti si sono adeguati arrivando a indebitarsi per acquistare quote da altri allevatori e poter così produrre di più. I disonesti non pagano e frodando lo Stato hanno fatto schizzare al picco massimo di 4 miliardi di euro il debito italiano con la Ue.
Nel 2002 e nel 2003, molti produttori guidati dai Cobas del latte hanno manifestato al Nord con il deciso supporto della Lega. Tra loro c’era Alessio Crippa, presidente della cooperativa «La Lombarda» di Melzo (Milano), una coop «Primo acquirente» finita nelle maglie della giustizia perché i suoi soci per anni si sarebbero messi in tasca più di 100 milioni. La prima a mettere le mani negli affari de «La Lombarda» fu la Procura della Corte dei conti di Milano che la fece condannare al pagamento di danni per 15,5 milioni (è in corso l’appello) nella persona di Crippa. Seguì un’inchiesta del sostituto procuratore Maurizio Ascione che portò alla condanna a settembre 2011 di 16 amministratori e consiglieri per peculato (fu la prima volta in Italia) e truffa ai danni dello Stato, tra i quali Crippa (5 anni e mezzo solo per peculato) che era anche legale rappresentante con Gianluca Paganelli (30 mesi per truffa) di un’altra cooperativa, «La Latteria», ora in liquidazione. La nascita come funghi di nuove società  dalle ceneri di quelle fallite è un fenomeno tanto preoccupante da aver spinto le procure della Corte dei conti di Lombardia, Piemonte e Friuli a coordinarsi in un’azione comune con l’Olaf, l’organismo che combatte le frodi comunitarie. Dopo le condanne «La Lombarda» è fallita precipitando in un buco da 80 milioni di euro. Dal crac è nata la nuova inchiesta per bancarotta e corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio che, inseguendo le metamorfosi successive, ha portato gli investigatori in Piemonte. Per approfondire il sistema delle quote nei mesi scorsi Ascione ha sentito come testimoni gli ex ministri delle politiche agricole Giancarlo Galan e Luca Zaia, Dario Fruscio, ex presidente dell’Agea, l’agenzia che riceve gli incassi delle quote, e l’ex capo di gabinetto di Zaia, Galan e del sottosegretario Franco Braga, Giuseppe Ambrosio, arrestato a dicembre a Roma in un’inchiesta su casi di corruzione. Fu sentito anche Renzo Bossi, figlio del Senatùr. Gli sviluppi delle indagini hanno portato alle perquisizioni «presso terzi» degli uffici e delle abitazioni delle due donne alla ricerca di documenti e dati informatici sui loro rapporti personali e professionali, non connessi alla Lega, con personaggi finiti sotto la lente degli inquirenti. Le segretarie sono state sentite come testimoni.
«La Lega non c’entra», ripete il segretario Roberto Maroni che era in via Bellerio con Bossi, Cota e Calderoli quando è arrivata la Guardia di finanza di Milano. I militari non sono entrati negli uffici dei parlamentari protetti dall’immunità , anche perché il pm Ascione non lo riteneva necessario non avendo chiesto l’autorizzazione a procedere al Parlamento. Il Carroccio, assicura l’avvocato del partito Domenico Aiello, «ha dato piena collaborazione agli inquirenti».
Giuseppe Guastella


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