La Farnesina: «Vile attentato» Chiude il consolato di Bengasi

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ROMA — Anche se ieri non è stato comunicato in via ufficiale, il nostro Paese si appresta a chiudere temporaneamente il consolato generale a Bengasi e a rimpatriare, fra i circa 40 che abitano in Cirenaica, i connazionali intenzionati a lasciare la Libia. Nella seconda città  dell’ex Giamahiria, sgravata da oltre un anno del tacco di Muammar el Gheddafi ma priva di assetti politici solidi, il console generale d’Italia Guido De Sanctis è sopravvissuto sabato sera a un attentato perché viaggiava su un’auto blindata e l’agguato è stato compiuto con un’arma più leggera di un bazooka. Poteva andare diversamente.
A Tripoli sono state rafforzate le misure di sicurezza per la nostra ambasciata e per il personale. Gli italiani che abitano stabilmente in Libia, un migliaio, hanno ricevuto via email dai diplomatici raccomandazioni di particolare prudenza. Quando c’era il Colonnello, i nostri connazionali erano circa tremila. Malgrado le precauzioni, ieri la situazione di Tripoli non è stata considerata diversa da quella di Bengasi, distante dalla capitale oltre mille chilometri, dopo il 1969 alquanto restia a farsi dominare fino in fondo dal Colonnello, terreno più fertile per il fondamentalismo islamico armato anche prima che lì, l’11 settembre 2012, alcuni terroristi assassinassero l’ambasciatore statunitense Chris Stevens.
Le suore italiane che abitano in Cirenaica hanno già  fatto sapere di non voler partire per l’Italia. In un aereo militare partirà  di sicuro De Sanctis, già  da prima indirizzato per mercoledì dalla Farnesina a Doha, Qatar, in qualità  di ambasciatore. Al governo libico il ministero degli Esteri italiano dovrebbe comunicare che il consolato chiuderà  per «qualche» settimana, insomma non definitivamente. La volta precedente fu il 17 febbraio 2006: una manifestazione anti Colonnello assaltò la vecchia sede in giorni di scontri con guardie del regime, morti e feriti. Allora, a Bengasi, il consolato d’Italia era l’unico ufficio di uno Stato occidentale. La chiusura è durata fino alla primavera 2011, quando De Sanctis lo ha riaperto in un altro palazzo e il 17 febbraio dello stesso anno era diventato il giorno della nuova «Rivoluzione». Contro il Colonnello. Oltre all’Italia, attualmente a Bengasi sedi diplomatiche ne hanno mantenute soltanto Turchia, Egitto, Tunisia, Malta.
Ieri mattina parte del personale italiano era in ufficio. Salvo sorprese, è da escludere che il successore di De Sanctis, Federico Ciattaglia, proveniente da Barcellona, prenda servizio nel consolato il 30 gennaio, come era previsto. A renderlo improbabile, i pericoli di agguati, la delicatezza degli assetti politici libici e la possibilità  che il governo di Mario Monti e suoi componenti diventino bersagli di accuse nella campagna elettorale italiana qualora qualcosa vada storto.
Le autorità  libiche messe in piedi dopo le rivolte e l’offensiva aerea compiuta dalla Nato nel 2011 sono troppo fragili perché l’Italia ritenesse ieri di accusarle di inadempienza sulla sicurezza di De Sanctis. Tra l’altro le forze locali sarebbero intervenute in suo soccorso nel giro di 15 minuti, presto per gli standard locali. Il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha evitato di presentare il «vile» l’agguato come un’azione antiitaliana. Lo ha definito «un tentativo di destabilizzare le istituzioni della nuova Libia» riconfermando per telefono al collega Mohammed Abdelaziz «pieno sostegno al percorso democratico» avviato e informando poi di aver ricevuto «il massimo impegno per assicurare alla giustizia» i colpevoli. La morte di Stevens ha esposto ad attacchi repubblicani l’amministrazione Obama in campagna elettorale. Terzi ha sottolineato: per De Sanctis «il dispositivo di sicurezza ha funzionato».


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