Albertini a Formigoni: non mi inquieti troppo o parlo e lo metto a terra
MILANO — Toglie i guanti e infila i guantoni. Non aveva infierito, Gabriele Albertini, dopo la decisione di Roberto Formigoni di abbandonare il loro progetto politico centrista per rientrare nei ranghi del Pdl. Ma ieri ha affondato: «Non mi inquieti troppo perché posso fare dichiarazioni che lo metterebbero a terra. Lui sa di cosa sto parlando». La minaccia non viene meglio circostanziata, ma l’ex sindaco aggiunge di riferirsi a «colloqui che hanno riguardato alcuni argomenti molto vicini a lui» e che «sono avvenuti nel mio ufficio». E ripete: «Sappiamo di cosa sto parlando».
Apriti cielo. Formigoni tace facendo sapere di non voler alimentare le polemiche. Ma il resto del mondo si scioglie nei dubbi: a che cosa allude? E, con i tempi che corrono e le inchieste aperte in Regione, il riferimento a questioni giudiziarie viene immediato a molti. Al punto che in serata lo stesso ex sindaco, candidato governatore in Lombardia e in corsa al Senato con Mario Monti, si sente in dovere di chiarire: «In merito a ricostruzioni fantasiose che vedo e sento rispetto alle mie dichiarazioni di questa mattina, tengo a precisare che il progetto politico costruito con Formigoni in questi mesi è stato oggetto di lunghi incontri, ragionamenti politici ed elettorali spesso avvenuti nel mio ufficio di lavoro. A questi incontri e ragionamenti e a null’altro, tantomeno di natura penale, mi riferivo nelle mie dichiarazioni».
Nello specifico, a irritare Albertini è stato un tweet che Formigoni aveva scritto l’altra mattina: «Caro Albertini che caduta di stile! Sei un politico di professione ancora più di me: hai la poltrona al Parlamento europeo, corri per altre due poltrone». Quel cinguettio era stata la risposta all’unica battuta che Albertini aveva fatto per commentare il passo indietro del governatore: «Ne prendo atto. Conoscendo il genere, quello del politico di professione, so che questo è il comportamento conseguente». Un insulto, per Albertini che vuole fare del civismo e dell’impegno per spirito di servizio la sua bandiera. Di lì la reazione di ieri e il riferimento a chiacchierate che, probabilmente, hanno riguardato la richiesta di garanzie da parte del governatore per una eventuale candidatura sua o di uomini a lui vicini nella squadra di Albertini, in Lombardia, e di Monti, a Roma. Una guerra sui principi che, agli occhi degli osservatori, sembra anche una guerra su chi è più attaccato alla poltrona e su chi se ne è garantite, negli anni, di più.
Formigoni, che in questi giorni deve sciogliere la riserva sul proprio futuro politico, spiegando se accetterà o meno il posto offertogli da Berlusconi al Senato (ma viene dato per certo che stia puntando a Roma), non replica. Chi gli è vicino fa sapere che il governatore si è però riconosciuto nel commento giunto dal segretario della Lega Lombarda, Matteo Salvini: «È un linguaggio che si usa altrove, con la coppola, per minacciare qualcuno. Non è né elegante — osserva Salvini — né lombardo. Non gli fa onore un linguaggio di questo tipo».
E se il parlamentare del Pd Emanuele Fiano ambienta lo scambio di battute fra i due ex alleati nella «Chicago anni 20», Paolo Ferrero di Prc scomoda Il Padrino e invita Albertini a «dire quello che sa». Esplicita le domande Maurizio Martina, segretario lombardo del Pd: «Spieghi qual è l’indicibile ragione che ha riportato Formigoni ad abbracciare Berlusconi e perfino Maroni. Spieghi, se lo sa, che cosa il leader della Lega ha dovuto mettere sul piatto pur di ricostruire la vecchia alleanza ormai logora e screditata da scandali e situazioni imbarazzanti che hanno fatto parlare tutta Italia». Ma forse non lo sapremo mai.
Related Articles
Ingroia, «scappano» i professori «Si è fatto trascinare da Di Pietro»
ROMA — Aveva cominciato Giuliano Pisapia: «Giù le mani dal movimento arancione». Ma il sindaco di Milano, si immagina, appoggia la lista del Pd con Sel e alla lista dei movimenti arancione di Antonio Ingroia non poteva certo guardare con favore. Adesso però è proprio la base del grande movimento arancione che si rivolta contro la «Rivoluzione civile» del pm Ingroia, sceso in campo poco prima di Natale con l’idea di trascinare con sé la parte migliore della società civile.
La caccia ai moderati fa lievitare le asprezze
L’ aumento delle asprezze fra Mario Monti e Silvio Berlusconi si spiega sullo sfondo della competizione per conquistare i voti degli astenuti e dei moderati delusi dal centrodestra. È vero che il presidente del Consiglio non risparmia critiche neppure allo schieramento di Pier Luigi Bersani, accusato di avere dentro tutto e il suo contrario.
Affari e tangenti, il sistema Sesto «Di Caterina aggressivo e armato»