Crisi delle Pmi: è colpa dei choosy e della scuola?

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Mescolando assunti sociologici con la rappresentazione paternalistica prevalente sui «Neet» sfiduciati e «viziatelli», la Cna stigmatizza l’approssimativa preparazione tecnica del 39,5% dei giovani, lamenta la loro scarsa attitudine del 26,6% al lavoro artigiano e la scarsa propensione a sostenere la fatica fisica (nel 25,1% dei casi). Uno slancio di realismo impedisce all’indagine di addebitare la stagnazione delle Pmi solo al morbo del «lazzaronismo» che avrebbe colpito i giovani dall’inizio della crisi. La Cna sposta il mirino sul bersaglio grosso. La colpa della crisi è della scuola. Gli imprenditori denunciano il suo forte scollamento dal mondo dell’impresa. Tre aziende su 4 giudicano la giudicano inadatta ai propri bisogni (76,6%), per una su 4 è del tutto inadeguata (24,2%). Si lamenta inoltre il poco tempo dedicato alla formazione pratica (39,7%) e la carenza di occasioni di tirocinio (27,7%). Per il 23,2% degli imprenditori la scuola non è in grado di trasmettere i valori del mondo del lavoro. Non si dice quali, forse sono quelli della massima flessibilizzazione e dei salari ridotti? Non importa, perché sul banco degli accusati c’è l’intero sistema educativo che non risponde ai bisogni delle aziende, figlio di un’impostazione teorica e generalista, frammentato in una miriade di percorsi formativi che non permettono uno sbocco occupazionale. L’indagine sottolinea inoltre che il 33% delle imprese è riuscita ad assumere nuovo personale, il più delle volte in sostituzione di altre figure. Più di un’impresa su 4 (26,4%) ha fatto ricorso alla cassa integrazione, il 17,1% delle imprese ha ridotto l’orario di lavoro dei propri dipendenti, il 16,6% riorganizzato i processi di lavoro, il 13,6% riconvertito professionalità  già  presenti all’interno dell’azienda. Un’impresa su 10 ha ridotto lo stipendio dei dipendenti (10,7%), mentre sono poche di meno quelle che non hanno rinnovato contratti a termine o di collaborazione (7,9%). Può stupire fino a un certo punto che la rude razza pagana delle piccole imprese consideri la formazione scolastica con un’alzata di ciglio. In fondo questa è la tradizionale rappresentazione del piccolo imprenditore italiano interessato più al «fare» che agli inutili discorsi «intellettuali». Non stupisce affatto, invece, che questa rappresentazione venga usata per legittimare la riforma dell’apprendistato contenuta nella riforma Fornero. Solo il 16% degli intervistati la giudica insufficiente, mentre per il 36,1% è un valido strumento di ingresso. Peccato che nessuno citi i dati reali dell’apprendistato. Secondo l’Isfol tra il 2009 e il 2011 è crollato del 17%. Per colpa dei «choosy» e della scuola, naturalmente.


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