La vera partita si gioca al Senato

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NON un semplice “casus belli” ma la vera partita su cui si gioca il futuro della prossima legislatura. Che riguarda il successore di Formigoni ma soprattutto la maggioranza che si formerà  a Palazzo Madama. Il premier lo sa e questa volta ha dovuto trasmettere attraverso i suo ambasciatori un messaggio esplicito al leader democratico: «Albertini corre anche per il Pirellone, per non far vincere la Lega. Il Senato è un paracadute».
Una rassicurazione arrivata in extremis. Perché nel Pd è scattato un vero e proprio allarme rosso: la paura che l’ex sindaco di Milano potesse ritirarsi dalla sfida regionale per impegnarsi solo nelle elezioni a Palazzo Madama. E lasciare così la strada libera a Roberto Maroni. Una sensazione rafforzata dalla decisione di Roberto Formigoni di mollare l’esperimento Albertini per rintanarsi di nuovo in un cantuccio delle liste piedielline. «Se è così – aveva avvertito Bersani – per noi cambia tutto. È bene che Monti lo sappia in anticipo». Un messaggio preventivo. La battaglia per la successione del “Celeste” è cruciale. Lo è per il centrosinistra e per il centrodestra. E se il Professore si schiera con il Cavaliere di fatto butta all’aria l’ipotesi di ricomporre un dialogo con il Pd dopo il 25 febbraio. I democrats non si fidano e lo hanno fatto sapere chiaramente. «Ma noi – è stato la comunicazione inviata da Palazzo Chigi a Largo del Nazareno – non vogliamo che al Pirellone arrivi un leghista». I centristi, dunque, sono decisi a condurre una campagna elettorale di «equidistanza» ma non fino al punto di compromettere il rapporto futuro con Bersani.
La battaglia per la regione Lombardia, però, è in un certo senso “double face”. Se i centristi rassicurano su un versante, sull’altro sparano alzo zero. Quale versante? Quello del Senato. Dove la truppa del Professore, Casini e Fini sta puntando tutte le fiches affinchè i Democratici non abbiano la maggioranza. «Noi – è il ritornello ripetuto in tutte le riunioni, anche nel vertice di ieri sera – abbiamo una sola chance: essere determinanti per la formazione di una maggioranza a Palazzo Madama». Un obiettivo che sta orientando scelte e candidature. Che sta definendo il profilo dei concorrenti e l’impegno dei leader. E che sta irritando Bersani e anche Napolitano. Basti pensare che – al di là  di Monti che è già  senatore – il capo dell’Udc, dopo trent’anni passati a Montecitorio, stavolta vuole traslocare nella Camera Alta. E insieme a lui quasi tutti i colonnelli centristi: da Buttiglione a Cesa, da Rao a D’Alia. Ma anche esponenti di peso come la finiana Giulia Bongiorno, il ministro “supermontiano” Enzo Moavero e il
presidente delle Acli Olivero. Insomma il nocciolo duro di “Scelta Civica” è concentrato a Palazzo Madama. Dove, in vista delle future trattative, il Professore vuole candidare solo persone di «provata lealtà ». Soggetti insensibili alle sirene che inizieranno a cantare dopo le elezioni. Senatori che, ad esempio, non faranno scherzi se si dovesse ratificare il patto con i Democratici. Per questo la presenza di ex Pdl – pure reclamata da una parte della Chiesa – è stata fortemente ridimensionata.
E in questa ottica il quadrante in cui si combatte la battaglia decisiva è proprio la Lombardia. Nella quale si eleggono ben 49 senatori. Un pacchetto talmente sostanzioso da influenzare in modo definitivo le maggioranze. La coalizione vincente in quella circoscrizione strappa 27 eletti. Meglio allora, per i centristi, che sia il Cavaliere ad avere la meglio. L’operazione, dunque, si presenta piuttosto arzigogolata: puntare su Albertini per far perdere Maroni e nello stesso tempo sperare che i lombardi non premino al Senato il centrosinistra. Non solo. Che l’obiettivo sia quello di obbligare Bersani a trattare l’intesa a Palazzo Madama, lo si capisce dalle scelte che i montiani stanno compiendo in altre aree del Paese. Basti pensare che in Veneto, altra regione in bilico, i montiani stanno evitando di schierare i “pezzi da novanta”. Quasi per avere la certezza che anche questa circoscrizione e il relativo premio regionale non vada nelle mani del leader pd.
Monti, insomma, vuole trasformare il Senato nel “laboratorio” dell’alleanza con il centrosinistra. E sarà  il luogo in cui si misurerà  la tenuta dell’accordo. A cominciare
dall’elezione del presidente dell’Assemblea. E già , perché su quella poltrona ha già  messo gli occhi proprio Casini. Il leader Udc dopo aver presieduto l’aula della Camera ora vorrebbe sedersi sull’altro scranno più alto sfidando la pd Anna Finocchiaro. Anche perché nello stato maggiore montiano sono convinti che chi viene eletto presidente del Senato parte in pole position per la successiva solo un mese dopo – corsa verso il Quirinale. Forse non è un caso che tra i fedelissimi di Pier stia circolando un paragone storico: Francesco Cossiga divenne capo dello Stato nel 1985 all’età  di 57 anni. Esattamente l’età  che ha adesso Casini. Considerazioni, però, che stanno già  aprendo una competizione all’interno del blocco centrista. Perché anche il Professore potrebbe essere interessato a quel tipo di percorso.
Sta di fatto che nei progetti di “Scelta civica” l’accordo con il segretario democratico non può che passare da quella elezione. E l’aula di Palazzo Madama sarà  nella prossima legislatura il cuore di ogni trattativa politica. Una previsione che sta spingendo perfino Silvio Berlusconi a optare per il Senato.


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