La Cina abolirà  i campi di lavoro?

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Un tweet dell’account ufficiale dell’agenzia Xinhua, controllata direttamente dal governo della Cina, ha annunciato ieri imminenti riforme all’utilizzo dei campi di lavoro nel sistema penale cinese. “La Cina quest’anno darà  impulso ad una riforma del suo controverso regime di rieducazione tramite il lavoro”, si può leggere nella nota. Meng Jianzhu, segretario della Commissione politica e legislativa del Partito Comunista Cinese (PCC), ha infatti annunciato ad una conferenza a Pechino che il paese intende “interrompere l’uso del sistema della riabilitazione tramite i campi di lavoro”.

La notizia, ora ufficiale, era stata anticipata di poco da Chen Dongsheng, un funzionario del Legal Daily, il giornale ufficiale del ministero della Giustizia di Pechino. Chen riportava le frasi di Meng, che avrebbe anche annunciato uno stop immediato all’invio di prigionieri nei campi di lavoro, una pratica detta laojiao (letteralmente, “rieducazione attraverso il lavoro”, per quanto talvolta vi si riferisca anche col nome di laogai). Questa forma detentiva in Cina esiste dal 1957, anno in cui Mao Zedong ne introdusse l’uso per confinare e sorvegliare controrivoluzionari e conservatori.

Il sistema attuale, in vigore dall’epoca, permette alla polizia di internare i delinquenti minori (innanzitutto spacciatori di droga) per un periodo di quattro anni e senza passare per le corti giudiziarie. I suoi critici, tuttavia, ritengono che il carattere extra-giudiziario del laojiao serva al governo per imprigionare gli oppositori politici e indebolire il ruolo della legge. Secondo dati divulgati dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC), nel 2009 circa 190.000 cinesi stavano scontando una pena laojiao in 320 centri di rieducazione sparsi per tutto il paese. I detenuti di questi campi in diversi casi possono lavorare dalle 12 alle 15 ore al giorno, in cambio di una paga mensile minima.

Fino a oggi, il laojiao spesso era anche utilizzato per colpire chi protesta contro il governo. Si trattava in molti casi di abitanti delle province, arrivati a Pechino per manifestare direttamente (e con più clamore) il proprio dissenso davanti alle sedi del potere cinese. È il caso di Tang Hui, di cui si parlò molto qualche mese fa. Ad agosto scorso una donna era stata internata in un campo di lavoro per aver richiesto con insistenza una pena più dura per lo stupratore della propria figlia.

Con ogni probabilità  la pratica della “rieducazione tramite il lavoro” finirà  a marzo, in occasione della ratifica ufficiale del comitato permanente del Congresso. Per ora rimane un mistero la strada alternativa che il governò deciderà  di prendere. C’è chi, come l’avvocato esperto in diritti umani Li Fangping, non crede all’annunciato cambio di rotta: “Daranno al sistema un nuovo nome, ma la sua natura rimarrà  immutata”, ha dichiarato al Telegraph. Nicholas Bequelin, ricercatore dell’influente ONG Human Rights Watch, ha commentato la notizia dicendo che potrebbe trattarsi di un primo simbolico passo verso riforme strutturali, un inizio del rinnovamento che in molti si augurano possa portare il nuovo leader cinese Xi Jinping, ma c’è il rischio che il tutto si risolva semplicemente in una serie di miglioramenti procedurali. Un altro dubbio riguarda il destino dei prigionieri attuali: pur interrompendo gli internamenti, è probabile che il governo decida di non smantellare completamente i campi, a cui verranno preferite soluzioni alternative.

Il sistema dei campi di lavoro nell’ultimo decennio ha generato un’ampia attenzione sia nazionale che estera, specie dopo alcuni fatti di cronaca (come quello di Tang Hui) e le ripetute condanne della comunità  internazionale. Lo scorso Halloween aveva fatto molto discutere il ritrovamento di una lettera inserita in un giocattolo costruito in uno di questi campi. Il biglietto, aggiunto da un recluso durante la fabbricazione del gioco, era stato ritrovato in Oregon e denunciava le difficilissimi condizioni di vita a cui i prigionieri sarebbero costretti “per un euro al mese”.

foto: una camerata di un campo di lavoro in Cina nel 2001. (APPhoto/John Leicester)


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