Canton, giornalisti in sciopero «Vogliamo la libertà  di parola»

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PECHINO — Si sono radunati davanti all’edificio che ospita il loro giornale. Hanno scandito slogan e mostrato striscioni che non lasciavano nulla all’immaginazione: «Vogliamo la libertà  di stampa, il rispetto della Costituzione e la democrazia». Giornalisti in piazza, a Canton. Per la prima volta, la sfida al potere viene da quei settori che un tempo erano considerati «la voce e la mente» del Partito. E i redattori del Nanfang zhoumo (Southern Weekly) non si sono limitati a proclamare uno sciopero che di per sé non ha precedenti: la loro protesta si è diffusa sui social network con una rapidità  che ha preso alla sprovvista i pur solerti censori e gli agenti della polizia informatica.
Trentacinque redattori hanno sottoscritto una petizione online, subito firmata da molti altri, mentre le loro «iniziative di lotta» venivano pubblicizzate su Weibo, il Twitter cinese. Il gioco a rimpiattino con le autorità  è scattato immediatamente: da una parte, gli account dei giornalisti ribelli venivano cancellati uno dopo l’altro, mentre ne sorgevano di nuovi e quello «ufficiale» del settimanale annunciava che «la password è stata formalmente passata alle autorità  di censura: da questo momento i messaggi di questo account non sono più gestiti dalla redazione».
Mai nella Repubblica Popolare, se escludiamo i drammatici giorni di Tienanmen, la richiesta di democrazia era stata così esplicita da parte dei settori più «vicini» ai problemi che un grande Paese in perenne trasformazione è costretto ad affrontare. Il neosegretario Xi Jinping, salutato come una figura «moderna e aperta», deve ora affrontare la prima vera crisi del suo mandato, una crisi che non ha a che fare con rivendicazioni economiche o con i frequenti soprusi nelle province, dove i contadini sono in lotta perenne con i funzionari a caccia di nuovi terreni edificabili. Questa volta la questione riguarda i diritti primari dei cittadini, quelli che la Costituzione cinese, nero su bianco, garantirebbe di già .
E infatti, lo sciopero dei giornalisti del Southern Weekly, settimanale noto per le sue posizioni «progressiste», da sempre nel mirino dei censori, riguarda proprio la possibilità  di pubblicare articoli senza dover rendere conto a una censura che non permette di superare quella che viene considerata una «linea rossa invalicabile»: la legittimità  del Partito. Non che il giornale lo abbia detto esplicitamente, ma quando, dopo Capodanno, è stato messo in pagina un editoriale che invitava al «rispetto della Costituzione e alla riforma in senso democratico» del Paese, il capo censore di Canton, Tuo Zhen, non ha esitato, ordinando di sostituire il pezzo già  in pagina con un altro che invece esaltava il ruolo del Partito. Mossa che ha generato immediatamente la protesta: i giornalisti hanno scritto una lettera aperta chiedendo «l’immediata rimozione» del responsabile di una «decisione dittatoriale in tempi di grandi trasformazioni e di speranze per un futuro di democrazia».
Curiosamente questo avveniva mentre, più a nord, il sito Internet di Yanhuang Chunqiu (Annali della Cina), un mensile realizzato da ex membri del Partito e da funzionari in pensione, tutti su posizioni di «critica dall’interno», veniva cancellato senza preavviso. La ragione? Un editoriale, simile nei contenuti a quello del Southern Weekly: e cioè la richiesta esplicita rivolta al potere di «rispettare la lettera della Costituzione». Difficile dire se queste proteste avranno un seguito — la stagione delle Primavere — simile a quello già  visto nei Paesi arabi. Certo il regime ha le antenne molto sensibili. E Xi Jinping, che finora ha mostrato un basso profilo, per quanto certo nessuna reale apertura (i giornalisti a Canton non sono stati arrestati o affrontati dalla polizia che è rimasta a distanza), dovrà  comunque decidere se tenere il timone ben saldo sul passato o provare una svolta che potrebbe cambiare la faccia della Cina.


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