Lo sguardo di un popolo
CARACAS. «Noi artisti eravamo rassegnati a che la politica non potesse più rinnovarsi, invece è comparso Chà¡vez e in 14 anni questo paese si è trasformato». Romain Chalbaud, il più grande regista venezuelano, ci riceve nella sua casa all’ultimo piano in cui vive solo, circondato dai ricordi e dai suoi cani. Cineasta, drammaturgo, produttore, è autore di tante opere che hanno lasciato il segno nella cultura latinoamericana: La Oveja negra, El pez que fuma, Pandemonium, El Caracazo, Dàas de poder… Per l’anagrafe ha 81 anni (è nato il 10 ottobre del 1931), ma conserva l’entusiasmo di un giovane pieno di progetti, che ci illustra spostandosi tra scrivania e computer. Continua a scrivere e a girare.
Per la televisione Vtv ha anche diretto la telenovela Amores de barrio adentro, nell’intento di «controbilanciare il dilagare del genere» con qualche contenuto sociale: in questo caso alludendo a Barrio adentro (dentro il quartiere), una delle «misiones» del governo bolivariano, ovvero uno dei programmi sociali rivolti agli strati popolari più emarginati. «Certe telenovela ci instillano in testa il veleno, e il consumismo. Fanno parte della guerra psicologica condotta dal capitalismo e dai suoi epigoni», aveva detto Hugo Chà¡vez in una puntata di «Alà³ Presidente», nel gennaio 2010. E aveva invitato gli artisti a reagire proponendone altre che riflettessero valori «sociali e rivoluzionari». Chalbaud aveva risposto all’invito. Ora sta lavorando a un nuovo film, La planta insolente, ispirato alla vita di Cipriano Castro, presidente del Venezuela dal 1899 al 1908. Un altro tassello nel pantheon indipendentista bolivariano, dopo il film dedicato a Ezequiel Zamora.
La sua poetica – dicono i critici – riflette lo sguardo di un popolo. Com’è nato il suo rapporto con la macchina da presa? Lei ha cominciato a girare e a scrivere fin da giovanissimo. Che atmosfera si respirava allora in Venezuela?
Da ragazzo, il cinema per me era come una bacchetta magica per sfuggire alla realtà , finché un giorno – avevo vent’anni, nei primi anni ’50 – vidi Roma città aperta, di Roberto Rossellini e poi Los Olvidados, di Luis Buà±uel. Mi cambiarono la vita, non solo come artista ma come essere umano, mi spinsero a formarmi una coscienza sociale. Rividi con altri occhi Tempi moderni, di Charlie Chaplin, il primo film che mi aveva colpito da piccolo, ma di cui avevo potuto cogliere soltanto il lato umoristico. Mi resi conto che il cinema serve ad affrontare la realtà , a raccontarla in tanti modi possibili, non a sfuggirla. Guarda quel ripiano, è tutto dedicato al cinema italiano, in quello di sopra ci sono i francesi… Negli anni della mia gioventù, qui circolavano molti film italiani e francesi. Magnifici. Nel ’63 sono stato in Italia per partecipare a due manifestazioni, a Sestri Levante e a Spoleto. Quella di Sestri era una rassegna cinematografica organizzata da padre Arpa, c’erano molti film cubani, si era a pochi anni dalla rivoluzione, e anche la chiesa era attenta alle questioni sociali. Prima di andare al Festival dei due mondi a Spoleto, volevo vedere La Traviata, di Visconti. Insieme ad alcuni amici ci siamo messi in macchina con un fiasco di vino e panini col gorgonzola. Mi sono ubriacato senza ritegno e ho insistito per rimanere sul posto, mentre i miei amici sono ritornati a Roma. Poi mi sono accorto di aver dimenticato il passaporto e ho dovuto dormire in stazione perché nessuno mi ha accettato in albergo. L’indomani sono andato al commissariato e ho cercato di esprimermi in italiano come sapevo. Ero in Italia da circa un mese. La polizia però non credeva che fossi venezuelano, mi dissero che l’anno prima un napoletano aveva cercato di farsi ospitare al festival spacciandosi per venezuelano. Alla fine mostrai la patente e mi trovarono un albergo. In quei giorni, mi hanno anche proposto di lavorare come assistente di direzione a Cinecittà : a girare Maciste contro i mongoli o spaghetti western, ma ho rifiutato.
E da quale realtà voleva sfuggire da ragazzo, com’è stata la sua vita?
Ho vissuto in Merida fino a cinque anni. Mia madre divorziò quando era incinta di due gemelle, una delle quali morì. Poi ci trasferimmo a Caracas, dopo un viaggio in autobus che allora durò quattro giorni e quattro notti. Per molti anni abbiamo vissuto in ristrettezze. Io, però, ero circondato da donne: mia madre, che lavorava nella biblioteca del ministero di Sanità , mia nonna che metteva francobolli alle poste e suonava il pianoforte, la bisnonna che costruiva dentiere e mia sorella. Tutte di sinistra e non bigotte, contrariamente alla media delle donne andine che sono molto osservanti. Da piccolo scrivevo racconti e poesie. La mia prima opera di teatro s’intitola Muri orizzontali – così venne tradotta dal figlio di un’amica italiana. Racconta, con linguaggio poetico, storie di persone che abbandonano la campagna per andare a lavorare nel petrolio. Un tema ancora attuale, ora che si cerca di costruire un’autonomia alimentare e che, in 14 anni di governo bolivariano, si è deciso che i proventi del petrolio devono servire al benessere dei cittadini e non a quello delle oligarchie. Dopo la cacciata del dittatore Perez Jimenez ci eravamo aperti alla speranza, anche sull’onda della rivoluzione cubana. Abbiamo vissuto una stagione culturale molto ricca, di grande sperimentazione e con gran successo di pubblico anche per film d’impegno. Poi, però, durante i governi nati dal Patto di Puntofijo, che si dicevano democratici ma rispondevano al consenso di Washington e reagivano alle proteste sociali gettando gli oppositori dagli aerei o facendole scomparire nelle prigioni, arrivò l’ostracismo nei confronti degli intellettuali come noi. Era difficile lavorare. Tornarono gli anni di ristrettezze, la produzione locale venne enormemente penalizzata. Cercammo di resistere, ma non fu facile. Creammo una piccola casa di produzione indipendente, ma fu molto difficile. Eravamo rassegnati a che la politica non potesse più rinnovarsi, invece è comparso Chà¡vez e in 14 anni questo paese si è trasformato. Una rinascita evidente anche in termini culturali.
Come si riflette nel cinema?
Il cinema è sempre stato all’avanguardia nel registrare i cambiamenti. Ora possiamo contare su un impegno concreto del governo, su politiche culturali di ampio respiro che consentono di promuovere i lavori dei cineasti giovani. Non ho mai visto un governo di sinistra ottenere così tanti risultati in poco tempo, sconfiggere l’analfabetismo e mettere al centro l’istruzione, puntare sulla cultura come strumento di emancipazione per le classi popolari. Sorgono scuole di cinema comunitario in ogni angolo del paese, cinemateche, sale cinematografiche. Prima non avevamo una distribuzione nazionale. I giovani si esprimono su tutti i registri creativi, producono lavori di rilievo che fanno riflettere anche se non sono dichiaratamente sociali. La presenza femminile è molto alta. Sono stato nella giuria di alcuni premi e l’ho potuto constatare, la vivacità culturale si esprime dagli angoli più reconditi del nostro paese. E questo vale anche per il teatro. Moltissimi che erano abbandonati sono stati restaurati, diventano luoghi di cultura e relazione sociale.
Secondo alcuni, ora vi sarebbe un ostracismo nei confronti degli intellettuali di opposizione.
Ma è una sciocchezza. Nei miei film gli attori che appoggiano il proceso si contano sulle dita di una mano, eppure lavorano tanto, e così dicasi per altri artisti, scrittori, registi. Il latifondo mediatico è stato appena intaccato. L’opposizione si avvantaggia come tutti i cittadini di questa ondata di cambiamento e di progresso, ma continua a denigrare e a complottare indisturbata dall’interno. Non digeriscono che l’intelligenza di Chà¡vez, che disprezzano e qualificano con appellativi razzisti, l’intelligenza di un popolo tradizionalmente destinato all’emarginazione, possa esprimere questa vivacità culturale.
Il suo film «La planta insolente» è stato però fortemente sollecitato dal presidente. Com’è nata l’idea? Cosa l’ha convinta a tornare al registro storico?
Il presidente conosceva le mie idee, aveva visto i miei film precedenti, quello sul Caracazo, la rivolta delle masse popolari contro il carovita, e Zamora, tierra y hombres libres, che è stato trasposto anche in teatro. Voleva far conoscere la figura del presidente Cipriano Castro, vissuto tra il 1858 e il 1924, raccontando una parte importante della sua vita. Nel 1899, Cipriano scende dalle Ande e arriva a Caracas qualche mese dopo, e prende il potere. Il film racconta quel che accade nel 1902, quando le corazzate britanniche, tedesche, olandesi e italiane bombardano Caracas, Maracaibo e Puerto Cabello per pretendere il pagamento di un debito contratto in precedenza. Cipriano pronuncia allora un celebre discorso contro «il piede insolente dello straniero che ha profanato il sacro suolo della patria». Un esplicito messaggio nazionalista che si riverbera nell’oggi. La sceneggiatura l’ha scritta Luis Britto, che è anche storico.
Con la malattia di Chà¡vez il Venezuela sta vivendo momenti di incertezza. La rinascita di cui parla potrà continuare anche senza di lui?
I giovani hanno preso gusto alla libertà , al teatro sociale, alla poesia di strada, alla cultura come relazione e impegno, non vogliono tornare indietro. E sono disposti a lottare.
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VENEZUELA Giovedì atteso il giuramento di Chà¡vez
Cabello: «Manifesteremo»
In Venezuela, il leader chavista Diosdado Cabello – rieletto qualche giorno fa presidente dell’Assemblea nazionale, a maggioranza bolivariana – ha annunciato una «grande manifestazione» a Caracas per dopodomani, data nella quale Hugo Chà¡vez dovrebbe assumere l’incarico di presidente. Chà¡vez, 58 anni, nuovamente vincitore alle presidenziali del 7 ottobre scorso contro il candidato della Mesa de la unidad democratica (Mud), Henrique Capriles Radonski, è invece ricoverato in un ospedale a Cuba. Il tumore che lo affligge dal giugno 2011 ha reso infatti urgente un quarto intervento chirurgico, annunciato dallo stesso presidente l’8 dicembre con un ritorno improvviso dall’Avana. Alla stampa che gli chiedeva se il capo di stato potrà giurare giovedì, Cabello – che è anche vicepresidente del Partito socialista unito del Venezuela (Psuv) – ha risposto: «Non escludiamo nulla», e ha precisato: «Convocheremo una grande manifestazione davanti al palazzo di Miraflores per appoggiare con forza il nostro presidente. Molti capi di stato e primi ministri di governi amici verranno a farci visita e a portare la propria solidarietà al presidente Chà¡vez, al popolo del Venezuela e al rispetto della nostra Costituzione». Al suo fianco, c’era il vicepresidente Nicolà¡s Maduro, indicato da Chà¡vez come il candidato più adatto a sostituirlo in caso di elezioni anticipate. Secondo la Costituzione, il presidente può giurare anche davanti al Tribunale supremo di giustizia senza data stabilita. Un’interpretazione che però l’opposizione contesta.
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