Rivoluzione nelle scuole addio fondi a pioggia più soldi alle migliori
ROMA — La scuola si prepara all’ennesima rivoluzione: più soldi agli istituti migliori. La novità per il cosiddetto fondo di Funzionamento delle oltre 9mila istituzioni scolastiche italiane dovrebbe scattare dal 2014. Una idea che richiama alla mente lo stesso sistema, lanciato dall’ex ministero dell’Istruzione Mariastella Gelmini, che oggi assegna più risorse alle università italiane più meritevoli. Peccato che in Italia non esista un meccanismo in grado di valutare scientificamente le performance dei singoli istituti. Un fatto che porta i sindacati a bollare questa norma – introdotta nella legge di Stabilità varata lo scorso 24 dicembre, comma 149 dell’articolo 1 – come una cosa “irrealizzabile”.
Il provvedimento è chiaro: “A decorrere dal 2014 i risultati conseguiti dalle singole istituzioni sono presi in considerazione ai fini della distribuzione delle risorse per il funzionamento”. Un ragionamento che non fa una piega. Ma che per Massimo Di Menna, a capo della Uil scuola, «si tratta di una norma scritta in modo approssimativo». «La cosa migliore – spiega – è che il prossimo governo non tenga conto di questa norma scritta con superficialità ». La posta in gioco è alta, basta citare i dati di due anni fa quando le scuole ricevettero dal ministero – e dagli enti locali – quasi 2 miliardi e mezzo di euro per le cosiddette spese di Funzionamento didattico e amministrativo. Con queste risorse la scuola riesce a coprire a malapena le spese l’acquisto della cancelleria e del materiale di pulizia, le spese postali e telefoniche e quelle per l’acquisto di libri e riviste scientifiche, dei materiali e la manutenzione degli strumenti da utilizzare nei laboratori. Ma non solo: le spese di funzionamento servono a fare camminare la macchina scolastica. «Non riusciamo a comprendere – confessa Domenico Pantaleo, leader della Flc Cgil – la logica di questa norma e cosa si intenda per “risultati” ».
«In Italia – continua – non c’è un sistema di valutazione collaudato. E poi, che senso ha legare le risorse per il funzionamento ad ipotetici risultati ancora tutti da verificare?». Gli unici dati al momento disponibili per valutare le performance delle scuole sono i risultati dei test Invalsi in Italiano e Matematica sugli alunni della scuola elementare, media e superiore e i dati sui promossi e bocciati.
Ma è fin troppo evidente che le prove standardizzate risentono delle condizioni socio-economico-culturali del contesto: non è la stessa cosa fare scuola a Scampia o al centro di Milano. Per valutare le scuole meritevoli si potrebbe anche ricorrere ai dati sulla dispersione scolastica, appoggiarsi ai risultati dei test internazionali o mettere in piedi un complesso sistema di valutazione ad hoc.
«Un sistema di valutazione serve senz’altro – osserva Di Menna – ma sarebbe serio costruirlo in 4 anni e spendendo quanto si spende in Francia». «E ammesso che si possano verificare gli apprendimenti, qual è la ratio che porta a tagliare le risorse alle scuole con risultati peggiori? Semmai, occorrerebbe assegnare a
queste scuole più risorse».
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