«Credibilità  e risultati. Così giudichiamo i partiti»

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L’AJA — «È vero, influenziamo la politica olandese — dice Coen Teulings —. Non nel senso, ristretto, che favoriamo un partito rispetto all’altro. Nel senso, allargato, che spingiamo tutti i partiti a dare prova di concretezza e di credibilità ». Teulings, 54 anni, è dal 2006 direttore dell’olandese Centraal Planbureau (Cpb), l’istituto di ricerca più vecchio al mondo in fatto di esame dei programmi elettorali dei partiti politici. Il Corriere lo ha intervistato nella sede del Cpb — una villa in un quartiere elegante della capitale olandese — per capire se qualcosa dell’esperienza dei Paesi Bassi possa essere utile all’Italia, alla vigilia delle elezioni del 24 e 25 febbraio: e ha stabilito che sì, il metodo può almeno in parte essere replicato da noi. Nelle prossime settimane, il Corriere cercherà  di farlo.
Cosa fate?
«Sostanzialmente effettuiamo una valutazione trasparente degli effetti che avranno negli anni a venire le piattaforme dei partiti che chiedono voti ai cittadini. E le verifichiamo su un modello, sia macroeconomico sia micro».
Come operate, in concreto?
«Per le elezioni olandesi dello scorso settembre, abbiamo iniziato a maggio a chiedere i programmi ai dieci partiti che vi hanno preso parte. Lo facciamo da anni e quindi sanno che domandiamo indicazioni precise, non dichiarazioni generiche. Poi misuriamo gli effetti di ogni piattaforma rispetto a uno scenario di base, a politiche invariate, e vediamo gli effetti che potranno avere le diverse proposte. Poi, momento importantissimo e atteso da tutto il Paese, rendiamo noto il risultato: ad esempio come cambiano crescita economica, disoccupazione, inflazione, deficit pubblico per ogni singolo programma; e gli effetti settoriali, dalla scuola alla giustizia. Pubblichiamo un rapporto di alcune centinaia di pagine».
Gli olandesi apprezzano?
«Il Cpb è praticamente ogni giorno sui media nazionali. E l’attenzione al nostro rapporto è notevolissima: un momento alto della campagna elettorale».
I partiti come reagiscono?
«Ormai la nostra valutazione è diventata parte integrante del confronto elettorale, i partiti sanno che sui suoi risultati molti elettori scelgono chi votare. Quindi collaborano. Anzi, capita che prima che il rapporto venga pubblicato ci chiedano di sottoporre i loro programmi al nostro esame. E che li modifichino di conseguenza. Il risultato è che le idee e le proposte che potrebbero portare al disastro vengono escluse. È un sistema che fa convergere — nei limiti delle diverse impostazioni — i programmi».
Un ruolo elettorale non da poco.
«Non siamo necessariamente decisivi. Ma abbiamo un effetto preventivo importante nel rendere la campagna elettorale una cosa seria e concreta. Abbiamo un effetto disciplinante».
Quanto siete indipendenti?
«Del tutto, altrimenti non saremmo credibili. Formalmente, il Cpb dipende dal ministero dell’Economia. Io sono nominato dal ministro per sette anni ma con il consenso dell’opposizione».
Difficile essere indipendenti in economia. Persino nell’elaborazione di un modello.
«Io non do molta importanza al ruolo del modello. L’importante è avere economisti bravi a leggerlo, che capiscano cosa succede nell’economia. Con il passare degli anni, poi, il modello evolve, si adegua al Paese. E riesce a leggere cosa succederà  nella prossima legislatura ma anche oltre, dal momento che una riforma del mercato del lavoro o una nuova politica dell’Educazione hanno effetti su tempi più lunghi».
Ma perché vi chiamate Ufficio del piano? È un po’ sovietico.
«È il vecchio nome. Siamo nati come centro di studi subito dopo la seconda guerra mondiale su iniziativa di Jan Tinbergen, che poi fu il primo Premio Nobel per l’Economa della storia, nel 1969. Ma l’analisi delle piattaforme dei partiti è iniziata negli Anni Ottanta, dopo che, nel decennio precedente, due giornalisti avevano cominciato, con meno mezzi di noi, a chiamare i partiti a rispondere delle loro promesse».
Il vostro ruolo è esportabile in altri Paesi?
«Penso proprio di sì. Sarebbe un bene: quando il Cpb dice una cosa, questa diventa molto importante, in Olanda».


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Quel Segreto di Stato che non può diventare un sipario sulla verità 

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Il segreto di Stato è materia delicata, da trattare con «rigorosa interpretazione delle norme», poiché «costituisce comunque un vulnus per il corretto dispiegarsi della vita democratica, fondata sulla trasparenza e sulla conoscenza da parte dei cittadini delle decisioni e degli atti di governo». Ecco perché può essere invocato solo «nei casi assolutamente indispensabili», e non può trasformarsi in un «sipario nero» che nasconda comportamenti illegittimi: «Di sicuro la finalità  della legge non è quella di garantire l’immunità  penale per eventuali atti illegali compiuti dagli agenti dei servizi di sicurezza».

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