Né rivoluzione, né civile Che cosa non funziona nella lista Ingroia

Loading

L’avvio delle iniziative di “Cambiare si può” nei giorni successivi all’annuncio delle elezioni anticipate si è caratterizzato per un’inedita ed entusiasmante mobilitazione di migliaia di militanti, intellettuali e semplici cittadini. Questi, affluendo molto numerosi alle assemblee di territorio, hanno sperimentato i caratteri di una partecipazione popolare nuova. Tale mobilitazione era volta, nonostante la ristrettezza dei tempi, all’elaborazione di nuove proposte contenutistiche e metodologiche per la partecipazione alle politiche del prossimo febbraio 2013, e i principi basilari emersi da questa rinnovata presenza dei cittadini nelle cose politiche erano mirati alla formazione di liste provenienti dai territori, formate da persone della società  civile scelte direttamente dai cittadini secondo nuovi metodi partecipativi e condivisi.
Mentre nei territori dell’intera penisola si svolgevano assemblee (peraltro, in alcuni casi caratterizzate da forti dissensi, ma è cosa normale), a livello nazionale si percorrevano altre strade molto simili a quelle della vecchia politica, fatte di accordi di vertice. Vero è che il movimento non nasce perfetto ed è migliorabile, ma qui sembrano messi in discussione gli stessi presupposti di un’autentica “rivoluzione civile” poiché si parte da un passo inaccettabile per le caratteristiche del movimento che ne è la base: la candidatura d’ufficio (non rileva se a capolista o al n. 2) dei segretari di partiti che con questo movimento non hanno e non hanno avuto proprio niente da spartire. Se nelle assemblee dei territori (prima di ALBA, poi di “Cambiare si può”) in precedenza si sono pur visti esponenti di questi partiti è stato solo per l’interesse elettoralistico (da “riciclo”) che le assemblee suscitavano in loro.
Un altro aspetto, conseguente, ma non irrilevante, peraltro contraddittorio, è che dopo la vittoria dei sì (mi spiace, ma non è stata una grande vittoria: la democrazia sostanziale ha una rilevanza e a questo referendum ha partecipato circa la metà  dei firmatari dell’appello) e la conseguente fuoriuscita (logica e inevitabile) dei tre garanti (Pepino, Revelli, Sasso), nessuno ha ripreso fra i vincitori del sì l’impegno di garantire la presenza di “Cambiare si può” al tavolo di Ingroia. Per quanto molti dei votanti “no” abbiano dichiarato comunque la loro disponibilità  a ripartire dalle assemblee anche se in maniera critica. Dunque, siamo senza referenti nazionali, sicché come far prevalere la voce delle assemblee? Come garantire al tavolo di Ingroia «i punti programmatici di – cito Lucarelli – Cambiare si può che hanno ben indicato la strada da seguire»?
In realtà  sarebbe possibile battersi perché almeno dai territori arrivino, attraverso le assemblee, nuove candidature secondo nuovi metodi di democrazia partecipativa, ma l’assenza di ogni punto di riferimento organizzativo, purtroppo, fa pensare che nei territori arriverà  l’influenza inevitabile dei capi e i candidati verranno scelti, come sempre, secondo logiche che non stanno né in una rivoluzione, né nell’impegno civile come vorrebbe lo slogan di Ingroia. Siamo purtroppo a un empasse particolarmente grave e vedo allontanarsi la possibilità  che questa lista migliori anziché peggiorare il rapporto con la società  civile, i movimenti e le lotte.


Related Articles

Salvini-Di Maio, resta il condono ma con compromesso

Loading

Riciclati. La misura resta ma salta l’impunità per gli evasori. Domani la risposta all’utimatum di Bruxelles: la manovra non cambia

Bersani già  pensa a spacchettare l’Economia

Loading

I timori del leader dei Democratici per il troppo potere del super dicastero

Lo scontro tra Berlusconi e Tremonti ai tempi del governo di centrodestra dimostrò che nell’esecutivo c’erano due premier, e che il più importante non sedeva a Palazzo Chigi ma a via XX Settembre. Se vincesse le elezioni, Bersani non vorrebbe ripetere un’esperienza  che fu «rovinosa».

La tregua è già rotta E Renzi si comporta da premier ombra

Loading

Sulla durata del governo le previsioni sono cautamente positive. Enrico Letta andrà avanti perché la situazione è tale da non consentire scarti e traumi. Ma nessuno si illuda che avrà vita più facile, anzi. Sulla composizione della sua maggioranza e di alcuni ministeri è nebbia fitta.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment