Zapatisti la nuova era

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Gli zapatisti fanno politica con l’astrologia – e viceversa – quando scelgono le date: il Capodanno del 1994, quando si fecero conoscere dal mondo intero occupando in armi cinque città  del sudest del Chiapas, coincideva con l’entrata in vigore del trattato di libero commercio fra Messico, Usa e Canada, che si rivelò una sentenza di morte per l’agricoltura messicana.
E il 21 dicembre 2012, giorno del completamento di un ciclo di 5126 anni secondo il calendario maya, 40mila zapatisti, armati solo dei loro tradizionali passamontagna, sono sfilati a pugno chiuso in assoluto silenzio sotto la pioggia nelle cinque città  che avevano occupato 19 anni fa. Lo scrittore Carlos Fuentes, che nel 1994 aveva notato che «i fucili di legno degli zapatisti hanno fatto centro nel cuore della nazione», avrebbe certamente descritto, se fosse ancora in vita, il silenzio assordante dei maya zapatisti nel celebrare il 13 Baktun, la fine di un ciclo plurimillenario e l’inizio di una nuova epoca.
Questa inconsueta e impressionante manifestazione ha voluto ricordare che l’autonomia delle comunità  indigene funziona e resiste agli attacchi dei successivi governi, che il movimento zapatista è vivo e vigoroso e che le giovani generazioni, nate e cresciute nella Selva Lacandona o in uno dei 42 municipi autonomi, hanno preso la staffetta dai loro padri.
Il Pri, il Partido Revolucionario Institucional che ha recuperato la presidenza con Peà±a Nieto dopo 12 anni di “alternanza” con il Pan, il partito clerico-franchista bastonato dalle ultime elezioni, ha debiti pesanti da pagare – in tutti i sensi, metaforici e materiali – e molti scheletri negli armadi che spingono per uscire. Uno degli scheletri più grandi è appunto la questione indigena, mai risolta e ferma a una legge-burla del 2001 con cui, invece di recepire gli accordi di San Andrés firmati fra l’Ezln e il governo nel 1996 che rinoscevano i diritti e la cultura indigena, non si accordava neanche lo status di soggetto di diritto – ma solo di oggetto! – ai popoli originari. Che rappresentano, è bene ricordarlo, il 12% dei 115 milioni di abitanti e sono descritti dalla retorica ufficiale come la “radice” della nazione.
Il mondo che deve finire
Poco prima del Capodanno, celebrato senza invitati esterni nei cinque Caracoles zapatisti sede delle Juntas de Buen Gobierno, sono stati resi noti tre comunicati del subcomandante Marcos, che non si sentiva da tempo e alcuni davano addirittura per morto. Lo stile e la verve dei comunicati sono il miglior sigillo di autenticità : non c’è dubbio, sono stati scritti dalla inconfondibile mano del mitico portavoce dell’Ezln e attaccano il Pri, Peà±a Nieto e il suo governo, i partiti politici, compreso il Prd, il Partido de la Revolucià³n Democrà¡tica che pretende di rappresentare la sinistra ma ha una corrente dominante che ricerca l’alleanza elettorale con la destra.
Nel primo comunicato si smaschera il Pri, il dinosauro della politica messicana che vorrebbe presentarsi oggi in una versione “modernizzata”, e si mette a nudo il curriculum repressivo del nuovo presidente, che non ha mai nemmeno nominato gli zapatisti da quando è in carica, e di alcuni membri prominenti del suo governo.
Il secondo comunicato è diretto a Luis H. àlvarez, un anziano politico del Pan incaricato negli anni passati di dialogare con gli zapatisti che è riuscito solo a farsi estorcere somme considerevoli da finti guerriglieri e ha poi scritto un libro sulla sua «indimenticabile esperienza di mediatore e pacificatore». Si capisce come il sub Marcos non potesse lasciargliela passare.
Il terzo comunicato, firmato dal Comité Clandestino Revolucionario Indà­gena – Comandancia General del Ezln e diretto ai popoli e ai governi del mondo ma anche ai compaà±eros e compaà±eras, parla dell’imponente manifestazione del 21 dicembre in cinque città , precisandone il significato: «Il nostro non è un messaggio di rassegnazione. E neanche di guerra, morte e distruzione. Il nostro messaggio è di lotta e resistenza».
Dopo aver rievocato gli inganni e gli attacchi governativi, gli zapatisti affermano di aver migliorato significativamente, in questi 19 anni di vita ribelle, le proprie condizioni di vita.
Il cammino dell’autonomia
Ed è vero, i successi delle comunità  autonome sono sotto gli occhi di tutti, compresi i paramilitari, incoraggiati dai vari governi, che cercano di rubargli terre e raccolti. A rendere gli zapatisti fieri delle proprie conquiste sono il rifiuto degli aiuti governativi, l’impiego razionale della terra per un’agricoltura di autoconsumo, un sistema di istruzione con programmi plasmati sulla cultura indigena e una rete di ospedali, cliniche e laboratori che attrae anche pazienti non zapatisti.
«Governiamo e ci governiamo noi stessi, cercando sempre l’accordo invece del confronto. Con il nostro silenzio ci siamo fatti presenti».
A questo punto i dirigenti zapatisti riaffermano la loro adesione al Congreso Nacional Indà­gena, «spazio di incontro con i popoli originari del nostro paese», riprendono contatto con tutti gli aderenti alla Sesta dichiarazione della Selva Lacandona in Messico e nel mondo, tendono la mano ai movimenti sociali esistenti e a venire, «non per dirigere o soppiantare, ma per apprendere da loro, dalle loro storie, percorsi e destini».
Si mantiene l’impegno per la costruzione di «un’alternativa non istituzionale di sinistra» e la distanza critica dalla classe politica messicana, che ha saputo solo «approfittarsi delle necessità  e delle speranze della gente semplice e umile». Il comunicato conclude promettendo nuove, future iniziative.
Come risposta alla vigorosa riapparizione del movimento zapatista, il neoeletto governatore del Chiapas, Manuel Velasco Coello, nipote e successore dinastico di un precedente governatore dello stato (Manuel Velasco Suà¡rez, 1970-76), si è pronunciato per il rispetto degli accordi di San Andrés nei loro termini originali e si è impegnato a rispettare il diritto alla resistenza e all’autodeterminazione zapatista. Il futuro prossimo dirà  se era solo retorica postelettorale o una reale correzione storica di uno degli stati più indigeni (e razzisti) della Repubblica.
Scrive l’editoriale del quotidiano La Jornada: «La dichiarazione del governatore del Chiapas si dà  sullo sfondo di un ampio consenso sociale, esistente da anni, intorno alla necessità  di risolvere le circostanze storiche di emarginazione, oppressione, esclusione, saccheggio, sfruttamento e discriminazione che subiscono i popoli indigeni del paese e di recuperare nei termini originali gli accordi di San Andrés, firmati fra i rappresentanti di un governo del Pri e i delegati zapatisti».
Già  prima del Capodanno, a San Cristà³bal de Las Casas, si è aperto un seminario internazionale di riflessione e analisi nella sede del Cideci-Universidad de la Tierra e alla sua inaugurazione sono stati letti i tre comunicati zapatisti, che rompevano un silenzio di più di un anno.


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