Futurismo in rivista

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   Se una decina di anni fa la Vallecchi aveva pubblicato un meritorio Dizionario del futurismo, quella che oggi si preannuncia dalla collaborazione della casa editrice Gli Ori e della Fondazione Echaurren-Salaris è allora una vera e propria Enciclopedia, organizzata in sette tomi che promettono una ricostruzione dell’universo futurista attraverso volumi monografici che saranno dedicati ai libri, ai manifesti, alle cartoline e alle fotografie, alla ceramica, ma anche — e il volume riserverà  certo interessanti sorprese — alla presenza del futurismo italiano nel mondo, dalla Spagna alle terre sudamericane. Il tutto partendo dai ricchi scaffali della collezione iniziata da Pablo Echaurren più di trent’anni fa, la più completa oggi sull’argomento, e a cui Claudia Salaris ha lungamente attinto nella sua attività  di storica del movimento futurista.
Si parte da uno dei campi d’intervento più vivaci e rivoluzionari del futurismo: le pubblicazioni periodiche, alle quali Claudia Salaris dedica Riviste futuriste,
volume dall’elegante composizione, col testo in italiano e in inglese e abbondanza di belle immagini a colori, inusuali in simili repertori.
E fa impressione vederle tutte assieme, le riviste del futurismo. E le fiancheggiatrici. E quelle che sul futurismo campavano di ironia, come Il Travaso delle idee,
che gli dedica spesso feroci vignette, o Marameo! Giornale politico satirico pupazzettato, che se ne esce — e siamo già  nel ’31 — con una parodica
«Edizione quasi futurista». O gli almanacchi goliardici e quelli degli allievi delle accademie militari, infarciti di ironiche tavole parolibere (ma talvolta anche vere, come quelle di Masnata per Putiferio).
Riviste interamente futuriste, o che alle sue novità  dedicavano una o due facciate, o magari solo una «Mezza pagina di futurismo», come la napoletana Il clacson.
Pubblicazioni di respiro europeo e fogli che invece testimoniano (che già  non è poco) una vivacità  locale, costruite con le sole forze cittadine o regionali, o sostenute con materiali forniti dalle teste di serie del movimento.
Si spazia dalla letteratura all’architettura, dalla radio al cinema, dalla politica alla pubblicità  (anche se Marinetti fu tra i primi a intuire la sovrapponibilità  delle due cose). Stampate su carta gialla, rosa, arancione, verde, ma anche con variazioni dell’abbinamento carta/inchiostro in uno stesso numero, con carta rossa e inchiostro nero, o avorio e verde…. E con in testa le più gloriose, come Lacerba (1913-15) di Soffici e Papini, modello europeo di una nuova visione, rivista sulla quale uscivano i manifesti della nuova rivoluzione tipografica e immediatamente anche le sue applicazioni pratiche, stravolgendo in maniera definitiva l’idea stessa di impaginazione (e ne sanno qualcosa i pur reticenti dadaisti di Zurigo). E poi L’Italia futurista (1916-18) di Settimelli, sulle cui pagine sfocia un profluvio di tavole parolibere, dai poeti futuristi spesso spedite direttamente dal fronte. O la seconda serie di Noi (1923-25) di Prampolini, col suo internazionalismo al servizio di un rafforzamento del futurismo come arte di Stato, su esplicito modello di quanto avvenuto in Urss dopo la rivoluzione.
Dirompenti alcuni titoli: Dinamo, Elettroni, Rovente, Originalità , La scintilla, Artecrazia, Bisogna creare, Poker futurista…, e sottotitoli non meno scoppiettanti: Arancione + rosso + ultravioletto, o Altoparlante bisettimanale, mentre Zabum — «antiletteraria» e «ultradinamica » — si presenta come Rivista coi capelli alla garà§onne.
Si avanza per curiosità , per assaggi. Partendo magari da Poesia, dove Marinetti si era fatto le ossa e dove — in totale dissonanza col cielo stellato e l’idra trafitta dalla freccia della nuda Poesia dell’affascinante copertina, ancora simbo-lista, di Alberto Martini — ripubblicherà  nel 1909 il Manifesto del futurismo. Perché per Marinetti, vero esempio di avanguardista, i passi avanti e gli strappi vanno sempre ostentati in corso d’opera.
Sul primo numero dell’Antenna (1926) una nota c’informa che «L’Antenna riceve e trasmette le onde di tutti i cervelli creatori ultradinamici» (e all’interno i collaboratori stranieri figureranno nella rubrica «Radiodiffusione estera»), mentre Il Passo oltre mostra un «Arredamento simultaneo», leggero e facilmente trasportabile, dove un banale tavolo può mutarsi in «scrittoio, tavolo da fumo e gioco, da lavoro per signora, da pranzo, da visita» ma anche — con una lieve pressione — in «toilette con specchi, luce interna e vari cassetti». E se è alto il numero delle riviste futuriste a fianco del fascismo, una pagina di Artecrazia (ottobre ’37), col titolo «Noi e Hitler» e un’accorata difesa dell’arte moderna da parte del direttore Somenzi, ci ricorda che era da poco iniziata in Germania la campagna contro l’Arte degenerata, e i futuristi italiani non ne erano esclusi. A giocare col fuoco… Si va avanti per assaggi, ma soprattutto si guarda, e ci perdoni la curatrice che di ogni rivista ha meticolosamente ricostruito ascendenze e discendenze, collaborazioni, passaggi di testimone da una all’altra per litigio o mancanza di soldi. Troviamo un bozzetto di Munari per l’Almanacco dell’Italia veloce, le sue illustrazioni robotiche per Il suggeritore nudo di Marinetti; il frontespizio di Dinamo futurista, creatura di Depero, e l’elegante composizione con tre «Caproni 101» + «bombe chimiche e incendiare» in picchiata per pubblicizzare (e ci si accappona la pelle) i rassicuranti «ricoveri EIA con impianti brevettati SICA» (Artecrazia, 1936).
Risalta l’eleganza modernista della prima serie di Stile futurista (1934), con audaci punti di fuga, mentre un numero di Campo grafico (maggio ’39) è dedicato proprio alle invenzioni futuriste, con straordinarie tavole parolibere e splendida copertina: su uno sfondo carta da zucchero si disegna la sagoma rossa di un aereo che quasi atterra sul grande titolo verde: Campo grafico aeroporto della rivoluzione futurista delle parole in libertà  poesia pubblicitaria, il tutto a sua volta tagliato in nero da: italianità  velocità  simultaneità .
Ma la più inventiva è senza dubbio 25. Sintesi pubblicitaria dell’arte contemporanea, micro- rivista del triestino Carmelich, un cartoncino 26×14 che — ripiegato in tre e richiuso — si trasforma in un biglietto postale formato cartolina, con spazio per indirizzo e francobollo. E su ognuna delle facce di questa tripla cartolina, notazioni critiche sul costruttivismo, la riproduzione di un nudo, la pubblicità  di una raccolta di Sofronio Pocarini e la poesia «Comete sulle camionabili». Certo che erano proprio maestri d’invenzione.


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