Media e bugie: tra sciacallaggio, allarme sociale e un po’ di autocritica

Loading

“In una democrazia non è accettabile che il mondo del giornalismo venga inquinato da menzogne costruite a tavolino” affermano gli autori del docu-film “Al Qaeda! Al Qaeda! Come fabbricare il mostro in TV”, del regista Giuseppe Scutellà , che da qualche mese sta circolando in tutte le città  d’Italia attraverso università , librerie, cinema indipendenti e altri canali “non ufficiali”. Tratto dal libro dell’avvocato Luca Bauccio “Primo, non diffamare”, il film riporta alcuni casi emblematici di vite rovinate dalla stampa, vittime del circo mediatico che però non si sono arrese di fronte alla dignità  lesa e si sono prese la loro rivincita in ambito giudiziario.

C’è l’incredibile storia di Youseff Nada, uomo d’affari italo-egiziano, inserito suo malgrado in una lista di finanziatori di al-Qaeda redatta niente poco di meno che dalle Nazioni Unite. A nessuno, giornali compresi, è mai importato che potesse essere innocente, cosa infine decretata ufficialmente dai giudici. C’è la vicenda della giornalistaAngela Lano, che un noto giornale italiano aveva descritto come una “pacifinta”, negatrice dell’olocausto e amica di terroristi. Lano aveva partecipato alla missione di aiuti alla popolazione civile di Gaza Freedom Flotilla, attaccata dall’esercito israeliano nel giugno 2010. A seguito dell’attacco vennero assassinati 9 pacifisti turchi, e feriti altri 50, mentre Angela Lano, insieme a 700 altre persone, tra cui giornalisti e video-reporter di tutto il mondo, veniva trattenuta illegalmente e poi rilasciata. Anche lei, dopo aver querelato il giornale per diffamazione, ha vinto la causa a marzo di quest’anno.

E poi ancora: la musulmana presidentessa di seggio a Bresso, umiliata da un discutibile servizio di un TG che, destando allarme e timori, l’aveva descritta come “la donna dal volto coperto”, (in realtà  indossava l’hijab, il classico velo che copre solo i capelli); il capo della “psico-setta” Vito Carlo Moccia, prosciolto nel luglio 2012 da tutte le accuse ma che ancora oggi viene tolto fuori dal cappello in ogni speciale TV in cui si parla di sette sataniche e abusi; il falso minareto di Milano, raccontato con toni apocalittici da Magdi Allam, in realtà  un semplice ripetitore della Wind. Nel film spazio anche Beppino Englaro, intorno a cui era stata costruita una gogna mediatica che di “rispetto della persona umana e delle sue vicende personali” ha sempre avuto ben poco. Questi non sono che pochi esempi.

“Con il titolo del nostro documentario – afferma Luca Bauccio alla presentazione romana del film – non è che vogliamo assolvere al Quaeda o i terroristi. Vogliamo solo dire che sui nostri media slogan come ‘Al Quaeda, al Quaeda!’ hanno sostituito il vecchio ‘Al lupo, al lupo’, con lo scopo di fomentare l’allarme e l’isteria sociale e manipolare le coscienze dei cittadini attraverso la paura”. Media a cui spesso non importa che la notizia sia vera o falsa. L’importante è vendere copie e fare audience, e pazienza se poi bisogna pagare indennizzi e danni ai diffamati. Che spesso, però, rimangono marchiati dalla menzogna.

“Avete mai visto un giornalista cacciato da un giornale per aver offeso la verità ?” chiede retoricamente Bauccio sul docu-film. E infatti, ci è voluta la condanna di uno “famoso” come Alessandro Sallusti perché la questione della diffamazione, in un modo o nell’altro, balzasse agli occhi non solo dell’opinione pubblica ma anche della politica, innescando anche una più incisiva operazione di autocritica da parte degli stessi media. “In quella vicenda – ha detto Paolo Butturini, segretario generale dell’Associazione Stampa Romana, in un recente incontro su media e questioni penali – molti di noi hanno visto non solo un attacco alla libertà  di stampa, ma anche una netta presa di distanza nei confronti di chi ha abusato di questa libertà , con una rappresentazione esemplare di cattiva informazione”.

Migranti, conflitti, disagio sociale, ma soprattutto carcere e cronaca nera sono tra i punti deboli dove è più facile cadere (per i giornalisti ma soprattutto per i fruitori) nelle trappole della manipolazione o della cattiva informazione. A volte per malafede ma a volte anche per ignoranza. “Ci siamo resi conto che molti giornalisti, soprattutto giovani, quando trattano argomenti come ad esempio carcere, detenzione, questioni penali, non sanno di cosa parlano – spiega Letizia Gonzales, presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia – Il linguaggio è spesso superficiale, e non solo per la fretta fisiologica del mestiere, ma anche per vera e propria non conoscenza”.

Ed ecco che nei giornali il mostro è già  bello che creato prima della della sentenza definitiva, e la presunzione di innocenza diventa solo un remoto ricordo. O gli arresti domiciliari, che spesso e volentieri vengono confusi con una sorta di grazia, mentre si tratta di una pena prevista dall’ordinamento penitenziario (così come le altre misure alternative, di cui si parla solo per sottolinearne i fallimenti). Per non parlare del diritto all’oblio, obliato esso stesso dalla maggior parte dei cronisti e di conseguenza anche dai cittadini che continuano a identificare una persona con il suo delitto anche dopo che questa ha pagato il suo debito con la giustizia.

Così, alcuni Ordini regionali dei giornalisti hanno iniziato un percorso di formazione e informazione per gli addetti ai lavori e per coloro che si avvicinano alla professione, con corsi e seminari affinché certi errori non vengano più commessi. Per quanto riguarda media e carcere, ad esempio, queste iniziative hanno portato alla creazione, ancora non approvata in via nazionale, di una nuova carta deontologica, la carta di Milano, contenente importanti linee guida per affrontare questi argomenti in modo corretto. “E’ vero che di carte ne abbiamo anche troppe – commenta il presidente dell’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia Romagna Gerardo Bombonato, tra i firmatari – ma certo una traccia può essere utile. In ogni caso ogni giornalista deve avere in sé la conoscenza delle cose che va a raccontare. Anche perchè, alla fine, i nostri principi si riducono a poche cose: tra queste, innanzitutto, il rispetto della dignità  della persona”.

Anna Toro


Related Articles

Spot, l’Authority si spacca su Mediaset

Loading

“Ruolo dominante nel mercato”. Duello tra i tecnici e i commissari di centrodestra

Sky caccia Current Italia dal satellite

Loading

Al Gore a Roma accusa: una ritorsione di Murdoch per il nostro Olbermann, la bestia nera di Fox. L’ex vice di Clinton denuncia: ragioni anche italiane, «non vogliono dispiacere a Berlusconi»

 

Copyright digitale, la riforma dell’Agcom. “Tutela e sostegno all’offerta legale”

Loading

 Copyright digitale, la riforma dell'Agcom. "Tutela e sostegno all'offerta legale" Maurizio Dècina 

L’autorità delibera sul diritto d’autore senza calcare la mano sulla repressione. Con l’obiettivo di rifondare il mercato dei contenuti digitali in Italia. Il commissario Maurizio Dècina indica i pilastri su cui si fonda questo nuovo regolamento

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment