Arriva Brahimi (Onu) ed è strage continua
Brahimi ha incontrato il presidente Assad ed esponenti sia dell’opposizione parlamentare sia del Coordinamento democratico che non fanno parte della «Coalizione di Doha», quella riconosciuta come «unico rappresentante del popolo siriano» da Occidente e petromonarchi. La Coalizione ha incontrato l’inviato dell’Onu al Cairo e si è già detta contraria a ogni proposta che non preveda un’immediata uscita di scena di Assad. Si è accentuata la «guerra chimica delle parole» (così titolava la tivù russa Rt). «Il regime di Assad ha usato armi chimiche nell’attacco a Homs alla vigilia di Natale»: l’ultima accusa è quella di un nuovo disertore, capo della polizia militare siriana, Abdulaziz Jassim al Shalal, in un video postato sul sito della tivù satellitare saudita al Arabiya.
Il governo siriano continua a negare recisamente e parla di «provocazioni» per favorire l’intervento straniero in Siria. La linea di Damasco è: «Qualora avessimo armi chimiche non le useremmo in nessun caso». E il ministro degli Esteri Sergej Lavrov si è detto convinto che non ci sia pericolo, anche perché per Damasco sarebbe un suicidio politico. Infatti Stati Uniti e Nato in testa hanno da tempo avvertito che l’uso di armi chimiche sarebbe uno spartiacque e aprirebbe la strada a un intervento militare «per proteggere la popolazione». Quasi ignorate dai media internazionali invece le denunce – altrettanto prive di prove – circa il possibile uso di armi chimiche da parte di gruppi armati dell’opposizione. Da tempo Damasco ha avvertito che «terroristi» hanno assunto il controllo di una fabbrica per input chimici a base di cloro, a est di Aleppo. E nei giorni scorsi l’agenzia semiufficiale iraniana Fars ha citato un comandante della guardia presidenziale siriana per il quale gruppi legati ad Al Qaeda avrebbero usato gas contro soldati siriani in una battaglia nel distretto di Daraya. Del resto, quando è iniziata la saga delle armi chimiche in Siria nel luglio scorso, per Usa, Ue e alleati la principale minaccia era che queste cadessero nelle mani di terroristi facenti parte di gruppi armati.
E si ripete la coincidenza tra importanti trattative e presunti clamorosi atti di violenza del governo. Per l’opposizione, ripresa dai media di tutto il mondo, il 23 dicembre Mig dell’esercito avrebbero bombardato molti civili siriani, dei mille in coda davanti ad un panificio ad Halfaya, area controllata dai gruppi armati dell’opposizione. Trecento gli uccisi, tra cui donne e bambini, nella prima versione fatta circolare dalla tv saudita al Arabiya. Scopo del massacro, sotto gli occhi attentissimi del mondo? Una «ritorsione» per l’avanzata dell’opposizione. Tuttavia i racconti e i video girati da «attivisti» locali appaiono pieni di incongruenze e non dicono nulla sui colpevoli, sulle vittime, su cosa sia successo, sulla natura del luogo e sullo status delle vittime. Mostrano molti uomini armati che si aggirano fra i corpi di uomini giacenti in una strada, alcuni con indosso abiti mimetici, uno con un’arma, uno almeno in stato di decomposizione. I danni agli edifici non sono quelli ingenti di un attacco aereo. Potrebbe dunque essersi trattato di combattenti uccisi in un’esplosione all’interno o all’esterno o durante i combattimenti. Nessuna prova che all’atto dell’evento quello fosse un panificio. Non solo: una scena mostra un braccio che depone, dopo, al suolo, nel sangue, una forma di pane (poco dopo raccolta da un altro).
Sempre secondo l’opposizione, a Homs si sarebbe verificata un’altra strage di 15 persone in fila al panificio. Inoltre un video sempre dell’opposizione postato su youtube e ripreso dai media internazionali mostra dei cadaveri di civili avvolti in coperte e li indica come vittime di un raid governativo nel villaggio al Qahtania, provincia di Raqqa.
E il Natale è stato celebrato con mestizia dai cristiani siriani, che sono fra le tante vittime di violenze su base religiosa denunciate il 21 dicembre da Adama Dieng, consigliere Onu per la prevenzione di genocidi e violenza settaria. Il 20 dicembre la Commissione Onu per la Siria ha parlato dell’uso dei bambini da parte dei ribelli (un video mostra un minore mentre decapita un soldato). Ad Aleppo si è svolta una manifestazione di cittadini contro i gruppi armati che occupano case e quartieri. Intanto il gruppo che detiene l’ingegnere italiano Mario Belluomo, rapito attorno al 15 dicembre insieme a due colleghi russi, ha richiesto un riscatto di 530.000 euro. I tre lavoravano all’ acciaieria Hmisho nella provincia di Latakia.
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