«Monti come la Thatcher, sul lavoro sbaglia tutto»
ROMA — «Non siamo noi ad essere fermi al passato, è Monti che propone una ricetta vecchia di 30 anni». La conferenza stampa di Mario Monti, Susanna Camusso l’ha ascoltata in diretta mentre viaggiava in treno. Le gallerie le hanno impedito di sentire proprio quelle parole, quelle critiche del presidente del Consiglio alla Cgil, considerata un ostacolo alle riforme: «Le ferrovie — scherza il segretario generale — sono cortesi con i propri passeggeri. In effetti sarei stata sorpresa se non ci avesse attaccato». Poi, arrivata in stazione, ha sentito pure i passaggi che si era persa.
Perché dice che è Monti a essere fermo al passato?
«La sua ricetta prevede il taglio delle retribuzioni e la riduzione delle tutele nei contratti nazionali di lavoro. Una ricetta che abbiamo già conosciuto con la Thatcher, con Reagan, con il precedente governo italiano. Un programma che ha già dimostrato tutta la sua fallacia aumentando la precarietà e riducendo il valore sia del lavoro sia delle imprese. Ho la sensazione che Monti insista su questa strada liberista anche perché non è abituato a misurarsi con la concretezza dei problemi del lavoro».
Segretario, sta dando ragione a Berlusconi. Usa le sue stesse parole quando dice che Monti è un professore e non è mai stato nella trincea del lavoro.
«Non ho visto Berlusconi in tv, me lo sono risparmiato. Mi pare non riesca più a uscire dal personaggio, ripete una litania che non può essere condivisa. Anzi, credo che molte delle cose che il governo Monti è stato costretto a fare siano figlie di tre anni di sottovalutazione della crisi. Detto questo credo che per Monti, secondo la sua vecchia impostazione liberista, il lavoro sia solo una variabile di costo da tagliare e non la fonte della ricchezza. Sono idee conservative, da partito conservatore».
Ecco, da partito conservatore. Dice così perché considera sbagliata un’alleanza che, dopo le elezioni, il Pd potrebbe chiudere con il centro, sostenuto piò o meno esplicitamente da Monti?
«Questo è il momento in cui i partiti dicono quali sono i loro programmi e invitano i cittadini a votare per quei programmi».
D’accordo. Ma se dopo le elezioni, specie al Senato, il Pd e Vendola non avessero i numeri per governare pensa che sarebbe sbagliato allargare la maggioranza verso il centro?
«Diciamo che al momento mi pare importante che il fronte progressista sia in grado di governare da solo. Non c’è una condanna atavica per cui nel nostro Paese non possa governare una sinistra progressista oppure una destra moderna. Non è scritto da nessuna parte».
Be’, in un certo senso è scritto nella legge elettorale: quella che abbiamo non aiuta certo la governabilità .
«Questo è vero, il Porcellum è stato scritto da chi avrebbe perso le elezioni per limitare la sconfitta. C’è un ventennio che va chiuso, dobbiamo voltare pagina».
Monti dice anche che voi avete frenato il Pd. Su cosa? Sulla riforma del lavoro, sull’accordo per la produttività ?
«Su nulla, siamo solo stati dialettici come deve essere una forza sociale. Ma Monti, non è una sorpresa, non riconosce la nostra autonomia e la nostra rappresentanza. Mi colpisce che si parli del sindacato come di un ostacolo alle riforme e di un ex presidente di Confindustria che è stato molto rappresentativo della sua organizzazione, Montezemolo, come società civile».
Le leggo una sua frase del primo dicembre 2011: «Monti segna il ritorno alla civiltà . Siamo tornati un Paese dove si dice buongiorno, dove non ci si insulta, e si può esprimere dissenso». Poi che cosa è successo?
«Guardi che confermo tutto. Dobbiamo sempre ricordarci come eravamo messi 13 mesi fa: su tante cose Monti ha ricostruito quello che Berlusconi aveva distrutto. Ma la agenda che sta indicando guarda fortemente a destra e noi non siamo d’accordo, tutto qua. Semmai, rispetto ad allora, posso dire che è un po’ più permaloso di quanto pensassi».
A cosa si riferisce?
«Non è sereno quando qualcuno gli dice che non riconosce il disagio sociale del Paese. Non è un caso che nella sua conferenza stampa non ne abbia fatto cenno. Il Paese, quello vero, non c’era. Basti dire che ci sono voluti undici mesi per accorgersi davvero di quanto era pesante il problema degli esodati».
Lei ha detto che Monti non ha idea di cosa fare per la crescita. Lei cosa farebbe?
«Secondo Monti per crescere bisogna tagliare. Per me bisogna investire».
D’accordo, ma i soldi dove li prendiamo?
«È vero, abbiamo poche risorse. Ma qualcosa abbiamo e, ad esempio, potremmo utilizzare al meglio quelle della Cassa depositi e prestiti. E poi servirebbe una patrimoniale che, oltre ad avere un valore simbolico di reale distribuzione dei sacrifici, ci permetterebbe di programmare una politica industriale, puntando su alcuni settori nei quali siamo forti».
Non c’è il rischio che con la patrimoniale i patrimoni vadano all’estero e alla fine si incassi poco?
«Il problema potrebbe teoricamente porsi ma ormai siamo tra i pochi Paesi europei a non avere questo tipo di tassazione. Una tale misura, oltre che economicamente apprezzabile, avrebbe anche un valore simbolico rilevante e tutti sappiamo quanto i simboli siano importanti specie in un momento di sacrifici. Non dimentichiamo poi che questo governo ha bloccato la rivalutazione delle pensioni sopra i 1.400 euro al mese e non è intervenuto significativamente sulle pensione d’oro».
Che voto finale dà al governo Monti?
«Non ne basta uno solo. Ha fatto benissimo dal punto di vista della credibilità dell’Italia all’estero e anche, con la lotta all’evasione, per la tenuta del patto fiscale di cittadinanza. Ma sul piano delle politiche sociali e del lavoro la bocciatura è inequivocabile».
D’accordo, ma promosso o bocciato?
«Resto dell’idea di allora. C’era un’emergenza e serviva una governo tecnico di breve durata. Ma poi un Paese forte deve dare voce agli elettori».
E se gli elettori dovessero scegliere un’altra volta Berlusconi? Sarebbe meglio o peggio di un governo sostenuto direttamente o indirettamente anche da Monti?
«Berlusconi sarebbe un drammatico ritorno al passato. Su questo non ho dubbi: i redivivi mi preoccupano, non mi affascinano».
Se invece dovesse vincere la sinistra accetterebbe di fare il ministro nel prossimo governo?
«No, assolutamente non è un tema che si pone. Neppure in astratto».
E i tanti sindacalisti che si candidano o si sono candidati?
«Libere scelte personali. La Cgil resta come sempre gelosa della sua autonomia».
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