Il Professore ai suoi “Lasciatemi riflettere”

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E HA rassegnato le dimissioni. Ma sul suo futuro nemmeno al capo dello Stato ha detto qualcosa di più, limitandosi a un «non ho ancora deciso». Un’incertezza che al Quirinale ha lasciato un po’ interdetti.
Sembra che almeno ai collaboratori più stretti, in realtà , la decisione finale oggi sarà  comunicata. Ma potrebbe restare deluso chi spera di capirci di più dalla conferenza stampa di fine anno (domenica mattina). Perché se mercoledì — a quella famosa riunione a palazzo Chigi con Casini, Riccardi e Montezemolo — Monti sembrava molto convinto, addirittura lanciatissimo, e soppesava tutti i dettagli di un impegno diretto, comprese varie simulazioni elettorali, compresa la decisione di dar vita a un «gruppo operativo » per la formazione delle liste, ebbene, appena due giorni dopo, questa spinta sembra in parte evaporata.
Perciò domenica mattina Monti dovrebbe limitarsi all’enunciazione della sua agenda di riforme. Punto. Come se, dopo aver soppesato tutti i vantaggi e le opportunità  di una discesa in campo, il premier si sia fatto travolgere dal peso degli svantaggi e dalle possibili conseguenze negative. Non ultima la paura di essere fatto oggetto di una violenta campagna mediatica da parte del Cavaliere. «È come quando uno si deve sposare — riassume un ministro — e improvvisamente si fa prendere dall’ansia. Vorrebbe rinunciare ma non sa come dirlo alla promessa sposa». Oltretutto, in questo caso, la “sposa” — ovvero i centristi — ha compreso benissimo l’incertezza del momento. Ieri tra le file dei montiani si è diffuso un senso di scoramento, una sgradevole sensazione di rompete le righe. Raccontano ad esempio che Luca Cordero di Montezemolo abbia fatto sapere che la sua candidatura ci sarebbe soltanto nel caso di un parallelo impegno di Monti. I più pessimisti sono sicuri che la lista “Verso la Terza Repubblica”, se Monti darà  forfait, non affatto. Al massimo Andrea Olivero, ex presidente delle Acli, e qualcun altro potrebbero trovare ospitalità  nella lista dell’Udc. Casini, che ieri ha avuto un colloquio con il premier, si tiene pronto al peggio. «Rispetteremo le scelte di Monti, qualsiasi esse siano. Ma noi saremo comunque in campo», ha messo in chiaro parlando nelle Marche. Angelino Sansa, capo dell’Udc in Puglia, ieri pomeriggio, alla buvette di Montecitorio, confidava all’orecchio un collega di partito: «Cesa mi ha detto di cominciare a preparare la nostra lista in Puglia». La liquefazione del centro è a un passo e sarebbe la diretta conseguenza del disimpegno di Monti. Una possibilità  che sta allarmando al massimo anche i vertici della Cei. Visti i numeri dei sondaggi, nel caso di default della lista Montezemolo- Riccardi, i centristi sarebbero infatti spazzati via da palazzo Madama senza poter superare la soglia regionale dell’otto per cento. Senza gruppo al Senato, irrilevanti alla Camera. In un divanetto del Transatlantico ormai deserto due montezemoliani della prima ora, Giustina Destro e Fabio Gava, confabulavano preoccupati: «Senza Monti la campagna elettorale diventerà  un derby tra Berlusconi e Bersani. Per noi sarebbe la fine». Nell’Udc e dentro Fli, oltre al terrore di essere lasciati a piedi nel bel mezzo di una campagna elettorale difficilissima, ieri montava anche del risentimento contro Monti. Come se il disimpegno fosse già  cosa fatta. «Se pensa così di conquistarsi il Quirinale — si sentiva dire in un capannello di deputati Udc — si sbaglia di grosso. Bersani non è babbo Natale, al Colle manderanno Prodi». Nell’altro campo, quello del Pdl, già  si fregano le mani. «Senza Monti — osserva Raffaele Fitto — la partita è apertissima. Al Senato l’alleanza fra noi e la Lega può vincere in Lombardia e in Veneto. Anche in Campania e Sicilia, grazie ai voti che prenderà  la lista di Ingroia-De Magistris, il Pd mancherà  il premio regionale. A quel punto è fatta: a Berlusconi per vincere gli basta non perdere».


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