«In fondo al mare» La lista delle “carrette”

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E’ la ricetta che lo stato italiano, grazie alla collaborazione coperta dei servizi segreti e l’appoggio dei sistemi criminali, usata per mettere la polvere sotto il tappeto, o meglio i veleni in fondo al mare. Il manifesto ha fatto una lunga inchiesta alla fine del 2009, partendo dal ritrovamento di un relitto a Cetraro, nel mare della Calabria. Grazie ai Lloyd’s di Londra sono state mappate 74 navi, naufragate a volte con mare piatto, in acque molto fonde, lontane da occhi indiscreti. I nomi ancora oggi sono tutti nel sito realizzato da Paolo Gerbaudo, infondoalmar.info: Rigel, Jolly Rosso, Cunski, Coraline, Capraia. Quattordici battevano bandiera turca, tredici italiana, dodici quella greca. Un lungo dossier che attende ancora una risposta.
Nell’ambiente si parla da sempre di affondamenti sospetti, assicurazioni a rischio, sussurrando i nomi degli armatori che si prestavano a questi giochini. La lista tratteggiata nell’inchiesta di Natale De Grazia – alla base delle ricostruzioni de il manifesto – sicuramente è ancora parziale. Era il modo economico e senza rischi usato da imprenditori italiani, affondando rifiuti scomodi e altamente tossici, anche nucleari di provenienza militare, dopo l’esaurimento del filone dei deserti africani e somali o le rotte verso gli stati latinoamericani compiacenti, come il Venezuela. Gli affondamenti nel Tirreno e Ionio prendono piede all’inizio degli anni ’80, hanno un incremento negli anni novanta, fino ad un’ultimo del 2001, data registrata su infondoalmar.info. 
Pochissime le inchieste realizzate dagli anni’80 ad oggi, tutte finite con l’archiviazione e tanti dubbi rimasti irrisolti. Le indagini di Natale De Grazia e delle procure di Reggio Calabria e Matera analizzarono da vicino anche un altro episodio rimasti scolpito nel ricordo degli abitanti della Calabria. Era il 14 dicembre 1990, quando una nave reduce da un trasporto di rifiuti dal Libano all’Italia invece di affondare, spiaggia, davanti alla costa di Amantea. E’ il Rosso – la ex Jolly Rosso utilizzata dalla Monteco per riportare i fusti tossici partiti dala Lombardia nel 1988 e sbarcati vicino Beirut -, uno dei tanti cargo della compagnia genovese Ignazio Messina. E’ un ro-ro, navi che fanno una certa tratta avanti e indietro, nei servizi regolari. Prodotta nel ’68, finisce 22 anni sulla costa occidentale della Calabria, vicino alla spiaggia di Formiciche.
Di questa nave nel 1988 si era interessato un imprenditore specializzato in rifiuti tossici, Giorgio Comerio, tentando di comprarla. Una serie di elementi considerati sospetti, che all’epoca portaro il capitano De Grazia ad interessarsi del caso, poi archiviato dalla procura di Paola, anni dopo la sua moret.
Dopo il Jolly Rosso, sempre nel 1990 c’è un altro affodamento che il pool di investigatori clabresi considerava sospetto. Il 10 dicembre la “Comandante Rocio” affonda nel nord della Sicilia, con un contenuto sconosciuto. Nel febbrario 1991 la lista dei sospetti si allunga, con la “Alessandro Primo”. Da lì in poi, fino alla morte di De Grazia, ci sono almeno un paio di navi all’anno che spariscono tra i flutti: nel ’92 la Yvonne A. e la Cunski, secondo la deposizione del pentito Francesco Fonti, morto nei giorni scorsi. Nel ’93 affondano la Marineta, la Old Father e la Marco Polo. Il 10 marzo del ’94 si verifica un forte inquinamento radioattivo al passaggio del cargo Kurrabbi Durres a Badolato, sempre in Calabria, e poi affonda il Gulten Islamoglu a luglio. Il 1995 è un anno strano per la marineria: a primavera affondano il Rot e Ricul, poi Nivia a giugno e la Coraline, una nave che batteva la bandiera di Antigua e Barbudos e secondo la documentazione trasportava 139 contenitori vuoti. 
Legambiente nel dossier ‘Affondamenti sospetti’ rivelò invece che alcuni container recuperati avevano tracce di isotopo 234. Uno come De Grazia sapeva a chi e dove chiedere. Già  nel 1994 aveva collaborato col pool investigativo della procura di Reggio Calabria. Per lui il quadro era sempre più chiaro. Bastava sentire quelli di La Spezia, base militare e uno dei porti delle nebbie da cui arrivavano e partivano le navi delle compagnie sospette. Non ci riuscì, morendo sulla strada


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