Il Tesoro e la via anti-debito Tra Pil e inflazione
È di fronte a loro che ha indicato l’obiettivo del 3% e, per una volta, non si trattava della soglia di Maastricht per il rapporto fra deficit e Pil. Il nuovo 3% vitale per l’Italia, ha spiegato il ministro, riguarda un dato curiosamente ignorato nelle discussioni fra politici, sindacalisti, imprenditori o banchieri. Eppure ora è più importante di Maastricht. Senza centrare quell’obiettivo, sarà difficile fermare la progressione del debito pubblico (e privato): è il 3% di crescita del Pil in termini nominali, la soglia che il ministro ha indicato a Washington per fermare e poi piegare la dinamica del debito. Se ne parla così di rado, che quasi solo gli addetti ai lavori sanno cos’è. La crescita del Pil nominale è il risultato di quella reale — di cui si parla di solito — più l’inflazione. Oggi questo dato è attorno allo zero, perché nel 2012 il Pil reale è caduto di più del 2% e l’inflazione è salita di circa altrettanto. Questa è la ragione principale che attualmente spinge verso l’alto il rapporto numerico fra debito e Pil, perché il Pil resta appunto fermo a zero mentre il debito tende a salire in modo inerziale per il solo fatto che gli interessi da pagare sono attorno al 5%. A chi lo ha ascoltato l’altro giorno a Washington, il ministro dell’Economia ha detto che l’Italia ora punta a quel 3% al più presto. Per raggiungerlo non serve un boom dell’economia. Basterebbe una crescita reale dell’1% più un’inflazione di circa il 2%, più o meno la velocità di crociera tenuta dall’Italia nel decennio scorso. A quel punto con un avanzo del bilancio del 4% o 5% prima di pagare gli interessi passivi — un obiettivo realistico — il Tesoro può bloccare il debito e metterlo su una traiettoria discendente. A Washington, Grilli si è detto certo che sia fattibile ed alcuni dei presenti si sono congratulati per la credibilità della strategia. Resta solo un punto da chiarire: nei tredici anni dell’euro l’Italia ha perso circa il 30% di competitività sulla Germania e il 20% sulla media dell’area monetaria. Per crescere, il Paese ha bisogno di tornare competitivo. Ma per riuscirci l’Italia ha solo due opzioni: la prima sarebbe aumentare molto gli investimenti per la produttività , ma in questa fase di credito difficile sembra una strada preclusa; la seconda invece è quella di ridurre i costi, a partire da quelli del lavoro, ed infatti è proprio ciò che sta succedendo. Il continuo aumento della disoccupazione spinge chi cerca un posto ad accettare compensi sempre minori pur di lavorare, ridando così un po’ competitività di prezzo alle imprese. Ma comprimere i compensi e i costi tramite disoccupazione e intanto centrare il 3% di crescita nominale non è facile: è come camminare con una gamba in un senso, e con l’altra in quello contrario.
Federico Fubini
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