Lampedusa scoppia. In un solo giorno sbarcano 457 migranti

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Riesplode tutto, qui a Lampedusa. Riesplode il centro di accoglienza da 250 posti, stipato di quasi ottocento disperati dell’Africa nera, accalcati a terra, distesi all’aperto su coperte e cartoni. Riesplode la rabbia degli abitanti, memori dell’emergenza dell’anno scorso. È di nuovo tempo di arrivi massicci di migranti. Ieri ne sono approdati 457, tutti subsahariani, aggrappati a barconi e soccorsi nella notte dai mezzi della Guardia costiera, delle Fiamme gialle, da una nave della Marina militare e pure da un mercantile.
La prima carretta del mare è giunta sul molo che erano quasi le tre e mezza del mattino, raggiunta quaranta miglia a sud di Lampedusa. Malcerta, altalenante, ce l’ha fatta comunque a raggiungere il porto. A bordo 218 profughi, e fra loro sette donne. Il tempo di tirare un sospiro di sollievo, ed è arrivato l’altro allarme, lanciato con un telefono satellitare e raccolto dal sacerdote eritreo Mosè Zerai. Questa volta, a sessanta miglia, il barcone stava per affondare: i 239 profughi, tra i quali venti donne, sono stati trasbordati sulle motovedette e alle 9 sono sbarcati a Lampedusa. I boatos dalla sponda africana lo avevano annunciato: «Ne arriveranno quattrocento». Erano stime in difetto.
Tutti portati nel centro di contrada Imbriacola, che fino al pomeriggio scoppiava di 960 ospiti, prima che la questura disponesse il trasferimento di duecento di loro. Sono comunque troppi, per una struttura che funziona a metà  regime da quando l’anno scorso, al culmine di una rivolta, fu bruciato un padiglione. La tensione è alta: lunedì scorso è scoppiata una rissa, con dieci contusi e feriti. L’indomani 104 profughi sono andati a dormire sul sagrato della chiesa, sotto la pioggia. Il Comune – guidato dal sindaco Giusi Nicolini che non smette di lanciare appelli al governo – ha allestito alcune stanze dell’ufficio anagrafe. Giacomo Sferlazzo, dell’associazione Askavusa, racconta desolato: «Il problema è che restano troppo a lungo. Vengono fatti uscire da buchi della recinzione, come cani, facendo finta che nessuno veda. Girano per l’isola come fantasmi, qualcuno solidarizza, i più si allarmano. Si era detto: a Lampedusa tre giorni al massimo e poi trasferimenti, invece…».
Si è preoccupati che la situazione precipiti. E che si ripetano le scene della vergogna, rievocate nel film da brivido «Lampedusa 2011 nell’anno della Primavera araba» che ha realizzato il documentarista Mauro Seminara: «La situazione in Nordafrica è tutt’altro che stabile – racconta – soprattutto in Libia. Se questa volta il governo italiano non pensa in tempo utile alle conseguenze, Lampedusa rischia un nuovo drammatico 2011». Il paradosso è che, mentre gli sbarchi si intensificano, finisce l’emergenza proclamata due anni fa dal governo: entro il 31 dicembre i centri di accoglienza gestiti dalla Protezione civile saranno chiusi, e i profughi che hanno fatto domanda d’asilo usciranno tutti, grazie a un permesso di soggiorno di un anno per motivi umanitari. Ma molti altri ne stanno arrivando.


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