Guerra a oltranza in prima pagina

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 BUENOS AIRES. La Casa Rosada e l’azienda proprietà  di Telecom Italia: un’alleanza diventata conflittoIl 26 maggio del 2003 il primo quotidiano argentino pubblicò la foto di un uomo emozionato. Alzava uno scettro con l’impugnatura d’argento ed era cinto da una fascia bianco-azzura col sole che ride. Sotto alla sua immagine, c’era la frase: «Voglio un paese serio e più giusto». Era Nestor Kirchner nel suo primo giorno da presidente, il giorno in cui l’Argentina iniziava a dimenticare la crisi e imboccava un decennio di crescita e redistribuzione. Clarà­n , che stampò quella prima pagina, appoggiava quel progetto politico con 6 quotidiani, 9 canali televisivi, un pacchetto pay per view , uno sciame di radio e un mucchio di soldi. Lunedì la democrazia argentina ha compiuto 29 anni e lo stesso giornale ha titolato: «L’economia non si riprende e l’inflazione resta alta. Prospettive di un anno difficile». Sotto, ha messo la foto di un anziano che precipita col paracadute e urla ridendo. In questi 10 anni, qualcosa è cambiato: Nestor Kirchner è morto. Sua moglie Cristina lo ha sostituito con successo. Clarà­n non è più amico della Casa Rosada e ora sforna scandali a ruota, che, sebbene abbiano avuto poche conferme giudiziarie, sono d’altronde riusciti a creare un importante malcontento nel ceto medio e medio-alto, che spesso scende in piazza dando prova del proprio numero. Tra questo colosso dei media e il kirchnerismo è in corso una guerra di logoramento che iniziò nel 2008 e che da allora ha visto cento Verdun in tribunale, mille Caporetto in prima pagina e una penosa Somme trasversale alla società , spaccata in due schieramenti opposti. In palio, c’è il controllo dell’informazione, o meglio, il controllo della macchina per impastare il consenso e fare i voti. Fonti anonime citate dalla stampa locale, hanno raccontato che in quel 2008 ci furono diversi incontri tra Kirchner ed Hector Magnetto, il ceo del gruppo Clarà­n. Magnetto voleva aiuto per acquistare Telecom Argentina, la società  di internet e telefonia che Telecom Italia possiede nel paese e che non vuole vendere, perché rende bene. Kirchner però capì che, accettando, sarebbe rimasto ostaggio di un Clarà­n trasformato in Super Sayan: un’enorme base di telecomunicazioni, in grado di fare opinione pubblica e moltiplicare capitali, più di quanto non potesse già  fare. Perciò, disse no. In seguito al rifiuto, il gruppo cambiò i titoli del suo giornale da: «La disoccupazione è la più bassa degli ultimi 14 anni», a: «Funzionari kirchneristi con più di 50 cause per corruzione». Il governo accusò il colpo e poi contrattaccò: da un lato, tentando con sorte alterna di dimostrare in tribunale che Clarà­n ha costruito il suo potere ricevendo favori dall’ultima dittatura militare (1976-83), a cui offriva in cambio il silenzio sulla tragedia dei desaparecidos (una vicenda di dominio pubblico, che però è diventata importante per l’esecutivo solo dopo lo scisma) e, dall’altro, stabilendo che le proprietà  del network nel settore dei media sono eccessive e devono essere ridotte. Per combattere in questo teatro, la Casa Rosada ha varato la legge sui media: una norma che le sinistre radicali e non kirchneriste hanno chiesto per anni, partecipando alla discussione, appoggiandone l’approvazione, ma accorgendosi poi che l’unica intenzione del governo era quella di distruggere Clarà­n, mentre non importava rendere più democratica l’informazione, come si dichiarava sulla carta. La regola divide l’etere in tre parti: una spetta allo Stato, la seconda a tv e radio private, mentre la terza va alle ong, ai sindacati e alle associazioni indipendenti.
Tuttavia, questi soggetti sociali, come per esempio i ragazzi di Barricada Tv, un canale di informazione antagonista che trasmette a Buenos Aires su un raggio di 7 km, raccontano di aver ricevuto solo porte in faccia dalle autorità . Luciana Lavila, che ne conduce il telegiornale, dice che la richiesta di essere riconosciuti come emittente legale è sempre stata respinta con delle scuse. «Una volta ci hanno detto: ‘Non vi possiamo inserire perché non dichiarate alcun datore di lavoro, né alcun dipendente’, gli abbiamo risposto che siamo organizzati con un altro sistema». Gli studi di Barricada sono infatti nell’Impa, una fabbrica metalmeccanica fallita con la crisi del 2001, poi recuperata e ora autogestita con successo dai suoi operai. Nella stessa situazione di esclusione ci sono molte altre reti, di orientamento politico diverso, ma natura simile: En Movimiento Tv, la Pts dei lavoratori socialisti o le anarchiche Faro e Antena Negra. Per smentire queste voci, il governo ha mostrato pubblicamente il riconoscimento dato a Wall Kintun, una presunta rete degli indigeni della Patagonia, che però non ha programmazione propria e che, a vederla, sembra più una farsa che altro. Per trovare un canale realmente popolare che sia stato riconosciuto dalla legge sui media, bisogna andare alla baraccopoli Villa 31 di Buenos Aires, dove trasmette Urbana Tv. «Per noi è stata una svolta, ci ha dato il riconoscimento legale che altrimenti non avremmo mai avuto e ci permette di cercare pubblicità  legalmente», spiega Juan Cruz, che manda avanti con le proprie forze la programmazione strana di una Slum Tv: messe cattoliche, riti evangelici, comizi politici e film pirata. Soldi, però, non ce ne sono, neanche per Urbana, eppure, spiega ancora Luciana, la legge parla di un «incentivo» alle tv piccole, che dovrebbe essere inteso come «finanziamento».
Nella guerra contro Clarà­n, invece, si investe eccome, però non ci sono i risultati: Cristina Kirchner aveva promesso una vittoria per lo scorso 7 dicembre, il giorno entro cui il gruppo doveva adeguarsi alla legge sui media, vendendo le circa 200 tra tv e radio che possiede oltre i limiti imposti dalla stessa. Poi è arrivato l’ennesimo ricorso e il giudice lo ha accolto, beccandosi gli sfoghi del governo che ieri ha incassato un punto a favore, ma non definitivo: il tribunale ha riconosciuto la legge come costituzionale, ma Clarà­n potrà  fare ricorso. Potrebbero volerci 3 giorni o altri 3 anni, intanto, sul fronte occidentale la verità  resta ancora un’opinione e ognuno vuole avere la sua.


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