Ipotesi voto 17 febbraio E uno «sconto» delle firme per le liste

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ROMA — «È come scalare una parete di sesto grado». Oscar Giannino si attrezza con mezzi di fortuna e, come lui, sono in molti a tremare per i tempi stretti, strettissimi, di una scalata da brivido: la raccolta di firme necessarie per presentarsi in campagna elettorale. Una gara contro il tempo che rischia di lasciare a casa diversi soggetti politici. La lista è lunga: il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, i Radicali, la sinistra comunista, i Verdi, gli Arancioni e tutto quel magma di liste e listoni ancora in via di formazione nel centro e non solo. Tutto dipende, naturalmente dalla data delle elezioni. Il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri annuncia: «L’ipotesi su cui stiamo lavorando è quella del 17 febbraio». Ma è tutta da confermare, così come c’è la questione delle Regionali. Il Pd ha deciso di rinunciare a insistere sulla data del 3 febbraio per il Lazio, per favorire l’election day.
La legge (Porcellum) parla chiaro: solo i partiti che si sono costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all’inizio della legislatura sono esentati dalla raccolta firme. Quindi: Pd, Pdl, Lega e Italia dei Valori (che però protesta, a nome degli altri). Tutti gli altri devono raccogliere 120 mila firme. Se le Camere vengono sciolte 120 giorni prima della scadenza naturale, quindi entro il 28 dicembre (così dovrebbe accadere, si parla del 21), il numero delle firme necessarie si dimezza. Ma resta altissimo, 60 mila, visto che, se si votasse il 17 febbraio, le liste dovrebbero essere depositate 34-35 giorni prima, quindi il 12-13 gennaio. In sostanza, considerando anche che ci sono le feste, ci sarebbe solo un mese per raccogliere le firme. Con due difficoltà  enormi: le sottoscrizioni si fanno nelle liste con candidati già  decisi (e molti non lo sono affatto), circostanza che è anche una discriminazione rispetto agli altri partiti, i quali hanno tempo fino all’ultimo per decidere; in più, le sottoscrizioni vanno autenticate: serve un notaio (ma si paga), oppure un consigliere negli enti locali (ma alcuni non ne hanno, vedi i radicali). In alternativa restano i municipi (opzione scomoda e limitata negli orari).
Anche per queste ragioni Beppe Grillo ha già  lanciato il «firma day», invitando alla mobilitazione e contemporaneamente gridando al complotto: le urne anticipate sarebbero state decise per far fuori il Movimento 5 Stelle.
Tesi a cui non crede Mario Staderini, segretario di Radicali italiani. Che rilancia: «Grillo ci marcia un po’, fa propaganda, anche per lui non sarà  difficile raggiungere le firme. Ma il problema esiste per tutti: per questo gli chiedo di non pensare solo a se stesso e di trasformare il firma day in una giornata di firme aperta a tutte le formazioni politiche». Di più: «Prima della campagna elettorale c’è uno spread della democrazia da abbattere: problema firme, Rai lottizzata, tribune politiche abolite, affissioni abusive. Votare a febbraio in queste condizioni sarebbe una truffa: chiediamo un governo a tempo, Monti o altri lavorino un mese per cambiare e restituire legalità ».
Cancellieri ammette l’esistenza del problema firme e non esclude interventi: «C’è già  un dimezzamento con lo scioglimento anticipato, ma possiamo fare un’ulteriore riflessione». Nel 2008, in situazioni analoghe, il governo Prodi fece un decreto per esentare dalla raccolta le forze che avevano almeno due parlamentari italiani o europei. «Soluzione giusta allora ma improponibile oggi — spiega Vizzini —. Grillo non ne ha di parlamentari e sarebbe un regalo di Natale per lui: farebbe il martire e poi direbbe di essere riuscito eroicamente a raccogliere le sottoscrizioni. Molto meglio dimezzare ancora le firme necessarie e facilitare a tutti il percorso».


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