In fuga dall’Italia, crolla l’immigrazione

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L’Italia non è più la stazione di arrivo dei flussi migratori, mentre aumenta l’emigrazione degli italiani che vanno all’estero, anche a causa della crisi. Lo sostiene il XVIII rapporto sulle migrazioni della Fondazione Ismu presentato ieri a Milano alla Fondazione Cariplo che, nel 2011, ha censito solo 27 mila presenze straniere in più rispetto all’anno precedente quando il saldo si era fermato a 69 mila. La riduzione dei flussi riguarda in particolare il Nord-Est (-50%) e il Centro (-37%) e ha trasformato l’immagine consolidata di un paese che fino al 2009 registrava un incremento medio di 500 mila ingressi all’anno. Per i ricercatori dell’Ismu si tratta di una flessione legata alla contingenza della crisi perchè entro il 2041 i cittadini stranieri – oggi sono 5,43 milioni – aumenteranno di altri 6 milioni e costituiranno il 18% della popolazione.
A dispetto di quella che è stata definita la «crescita zero» dei flussi migratori, l’Italia è diventato un paese a immigrazione stanziale: aumentano i riconoscimenti della cittadinanza (70 mila nel 2011) come gli alunni nati da genitori stranieri che frequentano le scuole (756 mila) e non hanno la cittadinanza, mentre diminuisce la percentuale degli irregolari (-26%, 117 mila persone), rispetto ai 443 mila stimati un anno prima. Ad avviso dell’Ismu, questo rallentamento potrebbe svelenire le retoriche sicuritarie sull’immigrazione cavalcate dalla destra leghista-berlusconiana, ma anche dalla sinistra. Possibile, ma questo è solo un auspicio, più che una certezza.
Il rapporto conferma inoltre che l’occupazione dei cittadini stranieri è cresciuta rispetto a quella degli italiani, con la creazione di 170 mila posti di lavoro. Aumenta però la disoccupazione al 21,1% dall’11,6% del 2010, segno che la crisi sta colpendo anche le fasce del lavoro dove i cittadini comunitari, in particolare rumeni o polacchi si sono meglio inseriti. Queste persone lasciano temporaneamente l’Italia per tornare nel loro paese d’origine oppure per spostarsi in paesi dove l’offerta di lavoro è ancora presente. È il caso di operai, tecnici, muratorie carpentieri colpiti dalla crisi dell’edilizia, ma anche dei possessori della «carta di soggiorno» che raggiungono la Francia, la Gran Bretagna o la Germania.
Ciò che continua ad allarmare è la crescita del numero degli italiani residenti all’estero, 4,2 milioni, che sfiorerebbe quello dei cittadini stranieri residenti in Italia. Una parte di questa cifra sarebbe composta da laureati, o comunque da persone qualificate che scelgono la via dell’estero, anche per sfuggire ad un «mercato» del lavoro terziario totalmente bloccato. Considerate le cifre assolute, in realtà  il distacco tra la nuova emigrazione dall’Italia e l’immigrazione in Italia è ancora molto netto, all’incirca 1,4 milioni, e non contempla il saldo tra laureati italiani che fuggono all’estero e quelli stranieri che lavorano nel nostro paese. Il curatore del rapporto Gian Carlo Blangiardo, docente di Statistica alla Bicocca, ha spiegato questo fenomeno in termini strettamente economici. «Da una parte importiamo giovani stranieri laureati che finiscono per trovare un mestiere poco qualificato, dall’altra esportiamo giovani cervelli che soltanto all’estero trovano una professione alla loro altezza».
Un «paradosso» che sarebbe confermato dall’aumento del 9% dei «cervelli in fuga», 50 mila persone che hanno scelto di vivere all’estero nel corso dell’ultimo anno. Un dato che trova conferma in un bollettino Istat pubblicato il 27 gennaio scorso. In realtà , la situazione è molto più sfumata e lascia il campo ad una vera e propria «guerra tra interpretazioni» che da tempo oppone gli specialisti. Già  nel 2007, Lorenzo Beltrame, un ricercatore dell’università  di Trento, avvertì il rischio di sovrastimare la nuova emigrazione italiana, confondendola con quella dei laureati o con i ricercatori che trovano ospitalità  nelle università  del Nord Europa o in quelle Nord americane.
In un saggio sul «brain drain», la «fuga dei cervelli», di facile accesso sulla rete, Beltrame ha dimostrato che il problema italiano non è la «fuga dei cervelli», bensì l’attrazione di personale qualificato. Rispetto ai suoi omologhi, l’Italia non si è mai dotata di programmi per attrarre queste figure, al punto che i laureati stranieri occupati sono poche migliaia. Il resto l’ha fatto la legislazione sull’immigrazione che dal 1991 ha moltiplicato le politiche securitarie. A sostegno di questa tesi, si possono usare alcune ricerche che dimostrano come, tra il 1996 e il 1999, il numero dei laureati con la residenza all’estero non ha mai superato le 4 mila unità . Nel 2006 le cifre del «brain drain» italiano si erano attestate su un livello medio basso. Diversamente da quanto si crede, l’Italia è molto lontana da paesi dove si registrano livelli di «drenaggio» superiori al 50%, con punte dell’80% in Giamaica o Haiti.
Secondo i dati Ocse la percentuale di laureati italiani emigrati tra il 2000 e il 2010 è del 12,4%, 316.572 persone «under 40», una media pari a poco più di 30 mila all’anno. Confimprese Italia sostiene però che solo un espatriato su due si iscrive all’anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire). Quest’ultima cifra dovrebbe essere moltiplicata per due, arrivando a 60 mila nuovi emigranti all’anno, quindi vicino al dato indicato dall’Ismu, ma molto al di sotto della media generale Ocse del 23,2%. Questi sono i dati che spingono gli studiosi a considerare normale il livello di espatrio tra i lavoratori qualificati (con laurea o dottorato) rispetto al tasso di migrazione generale che è molto più alto. Nonostante tutto in Italia questa normalità  viene considerata un’eccezione. E non può che essere così perché la produttività  dei «cervelli» è un tassello della retorica sulla competitività  che permea il discorso neo-liberista sulla globalizzazione. In questa tempesta di cifre è stato rimosso un altro fattore: la vita di chi non emigra e svolge il lavoro dei cervelli in fuga in patria. Sono milioni di persone, laureate e non, precarie e intermittenti, che non rientrano nelle statistiche. Loro restano invisibili alle traiettorie del «capitale scientifico».
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MIGRANTI Dal 2010 al 2011 il loro numero è cresciuto in Italia solo dello 0,5%, sostanzialmente pari a zero, si è infatti registrato l’aumento di solo 27mila persone in un anno


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