Cinquanta sfumature di arancione

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Settanta giorni alle elezioni sono pochi, quasi troppo pochi per chi sta immaginando da tempo una nuova lista o addirittura un quarto polo ma non si è ancora lanciato. I giorni poi scendono a trenta se si considera la scadenza della presentazione delle candidature. E delle firme per sostenerle che, nazionalmente, dovranno essere circa 80mila. Eppure, nonostante la fretta, il Movimento arancione di Luigi de Magistris, lungamente annunciato, oggi dovrebbe fare solo un mezzo passo in avanti. Nell’assemblea di questo pomeriggio a Roma non ci sarà  il debutto ufficiale dei candidati, niente liste insomma ma solo la presentazione di un manifesto, un logo e il lancio di un’associazione – appunto, arancione – che si muoverà  accanto ad altre associazioni e partiti. Partiti sì, anche se non si tratta dell’oggetto più facile da maneggiare di questi tempi, specie per chi si propone di cambiare radicalmente la politica. Ma de Magistris a Napoli ha il sostegno di tre partiti, Rifondazione, Comunisti italiani e Sel, e tutti e tre cercheranno in qualche modo di rientrare nella partita.
Il modo rischia di essere però assai doloroso. La condizione che viene posta è che i partiti si sciolgano nel movimento, rinunciando al simbolo e anche alle candidature più riconoscibili. Questa è anche la condizione perché l’attivismo del sindaco di Napoli possa continuare a marciare insieme alla proposta di «Cambiare si può», l’appello nato da Alba che il 1 dicembre scorso ha riempito il teatro Vittoria a Roma. C’era anche Ingroia che tornerà  oggi, in videocollegamento dal Guatemala, e che nel frattempo sta raccomandando ai diversi protagonisti in campo di non dividersi.
Un’altra faglia che rischia di allargarsi infatti è quella tra chi sostiene che vada fatta un’offerta di collaborazione al centrosinistra e a Bersani, nell’ottica di rafforzare la prospettiva di una rottura del rigore montiano, e chi al contrario con il centrosinistra non vuole avere niente a che fare giudicando l’alleanza Pd-Sel destinata a perpetuare le politiche dei tecnici. Semplificando, sul primo versante si collocano de Magistris, il Pdci e l’Idv – che sabato terrà  un’assemblea nazionale per fare anche lei un mezzo passo nella direzione del «movimento» – sul secondo sono attestati i promotori di «Cambiare si può» e Rifondazione. Che per questa ragione parlano poco di liste arancioni e molto di quarto polo. Se alla fine il tempo per presentarsi alle urne a febbraio dovesse dimostrarsi davvero troppo poco, se Monti andando via non dovesse regalare (anche a Grillo) un decreto per facilitare la presentazione delle liste (più o meno così fece Prodi nel 2008), allora quelli di Alba sono prontissimi a saltare un giro. Gli arancioni un po’ meno.
L’assemblea di oggi pomeriggio (17.00, teatro Eliseo) lancerà  un manifesto dai toni alti – «noi siamo il potere dei senza potere, la voce dei senza voce» – che sarà  pubblicato sul web e che dovrebbe raccogliere le proposte dei cittadini per la redazione di un programma condiviso. Un passo ancora lento. Ma un messaggio forte: «Siamo un gruppo di cittadine e cittadini che crede che l’Italia abbia bisogno della passione e dell’impegno di tutto il popolo per costruire un futuro fatto di benessere, prosperità , equità », il manifesto comincia così.
Un test importante per il movimento saranno le assemblee territoriali che si terranno il prossimo fine settimana in tutte le città . Ma una decisione finale sulle liste sarà  presa solo il 22 dicembre, in un’altra assemblea a Roma seguito di quella del teatro Vittoria. Bersani non sembra più molto interessato all’offerta di questa ipotetica quarta gamba di sinistra, al momento è concentrato sulla costruzione della terza di centro con Tabacci. Anche dal punto di vista di Sel, poi, un’altra sinistra nell’alleanza sarebbe fastidiosa. E allora, estromesse dalla coalizione di centrosinistra, tutte le sfumature dell’arancione tornerebbero più facilmente ad armonizzarsi. Per un quarto polo elettorale che però dovrebbe scalare lo sbarramento del 4%. Difficile. A meno che Bersani non cambi i suoi calcoli decidendo che, almeno al senato, l’alleanza convenga comunque allargarla.


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