Lo sfogo con il governo: offeso, noi mai partigiani

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ROMA — «Non potevo fare altrimenti, spero siate tutti d’accordo, non potevo passare per fesso». Mario Monti in Consiglio dei ministri racconta gli ultimi giorni, la scelta di rassegnare le dimissioni dopo l’approvazione della legge di Stabilità . Ripercorre le tappe che hanno fatto maturare la decisione, spiega i motivi per cui ne ha parlato con il capo dello Stato prima che con i suoi colleghi.
Erano tutti o quasi all’oscuro. Sabato scorso, quando è arrivata la nota del Quirinale, molti ministri sono rimasti a bocca aperta. Non ne sapevano nulla e non avevano sospetti. Eppure ieri pomeriggio, di fronte al racconto del Professore, hanno convenuto sulla bontà  della decisione: «Siamo orgogliosi di aver fatto parte di questo governo», è stato il senso delle dichiarazioni di quasi tutti i membri dell’esecutivo.
«L’accusa che è pesata più di altre è quella di partigianeria, di aver legiferato subendo le condizioni della sinistra o della Cgil», è stato uno dei passaggi del presidente del Consiglio. Il discorso di Alfano, le accuse del Pdl, quella svolta considerata come un tradimento degli impegni assunti al momento della formazione dell’esecutivo vengono ripercorsi durante la riunione.
Il premier dà  alcuni dettagli, spiega di essersi «sentito offeso: ho dovuto leggere un discorso che ci faceva passare per fessi, per gente condizionata da un partito più degli altri, cosa che invece non è mai accaduta. Non siamo stati mai condizionati nelle nostre scelte, abbiamo sempre solo cercato di ottenere il migliore equilibrio possibile, ma rispettando i nostri principi».
Non nomina mai Berlusconi, dice invece che con Alfano il rapporto personale è rimasto buono, umanamente positivo. Ma è il contenuto politico delle svolta che il Cavaliere ha voluto, e che il segretario ha tradotto in Parlamento, che non poteva passare inosservato. Detto questo, aggiunge Monti, almeno sino al momento delle dimissioni, «cercate di sentirvi e comportarvi tutti in modo neutrale, rispetto a tutti e tre i partiti che ci hanno sostenuto in questo anno di governo».
È un invito che tende a tenere l’esecutivo al riparo dalle polemiche politiche di queste ore, a non offrire ribalta ulteriore a dinamiche mediatiche di scontro. Almeno sino a quando non sarà  stata guadagnata, con le dimissioni, una maggiore agibilità  politica. E a quel punto forse toccherà  a lui stesso dire quello che finora non ha detto, forte di una maggiore libertà .
Sulle prospettive politiche personali nemmeno un accenno, su quelle del lavoro concreto delle prossime settimane invece più di una parola: rimangono più di due mesi, l’esecutivo resterà  in carica per un’attività  amministrativa, di implementazione delle riforme adottate negli ultimi mesi che si annuncia gravosa. Monti lo ricorda ai suoi ministri, «non siamo un governo in esaurimento»; dà  mandato di preparare una circolare in cui verranno ribaditi a tutti i dicasteri i poteri di un governo dimissionario ma che resta in carica sino alla formazione del successivo. Sulla base di quei poteri, spiega il Professore, «non è poco quello che ancora possiamo fare e ciò che dobbiamo portare a compimento».
Nel corso della riunione viene affrontato il tema della data delle elezioni: la Cancellieri però non indica un percorso univoco, c’è ancora un margine di indecisione sul tempo più opportuno per richiamare gli italiani a votare. Il ministro Patroni Griffi invece illustra le difficoltà , ormai insormontabili, dello stato della riforma delle Province. È una situazione talmente complicata, per alcuni versi, che lo stesso Monti, con una battuta, si fa scappare di aver capito poco.
Al termine del Consiglio, una nota di Palazzo Chigi informa in questo modo sul contenuto della riunione: il presidente del Consiglio «ha riferito dell’incontro che ha avuto con il capo dello Stato sabato 8 dicembre e delle ragioni che lo hanno condotto ad annunciare l’intenzione di rassegnare le dimissioni dopo aver verificato se è possibile approvare in tempi brevi le leggi di Stabilità  e di Bilancio. Tutti i ministri si sono dichiarati concordi su tale passo alla luce dell’evoluzione politica manifestatasi venerdì scorso alla Camera dei deputati».
Alcune riflessioni politiche, all’uscita di Palazzo Chigi, le rilascia il ministro Andrea Riccardi, che si batte da mesi per un Monti bis: «Non si può tornare indietro alla II Repubblica, occorre verificare un consenso elettorale intorno alla sua figura».


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