Portiamo cicatrici di lance e spade ma cerchiamo un ordine cosmopolita

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Nei tempi bui del dopoguerra il lutto e il risentimento animavano molti cuori. Quale ardita scommessa fu allora per i padri fondatori dell’Europa decidere di interrompere la spirale di violenza, mettere fine alla logica di vendetta e costruire un futuro migliore, insieme.
L’Europa poteva vivere in pace anche senza l’Unione? Difficile a dirsi. Una cosa però è certa: non sarebbe stata la stessa pace. Vale a dire una pace stabile, non un cessate il fuoco a tavolino. Ciò che rende questa pace così speciale è la riconciliazione, ovvero qualcosa di più del semplice perdonare e dimenticare, o del voltare pagina. L’incontro tra Adenauer e De Gaulle nella cattedrale di Reims è una delle immagini più commoventi dell’Europa che cura le sue ferite postbelliche. Ma ce ne sono altre. I sei Stati riuniti nella città  eterna per dare il via a un nuovo futuro. Willy Brandt che si inginocchia a Varsavia. I portuali di Danzica stretti nella protesta. Mitterrand e Kohl che si danno la mano. Rostropovich che suona Bach mentre il muro di Berlino crolla. I gesti simbolici da soli non bastano però a cementare la pace. Ed è qui che l’Unione europea sfodera la sua «arma segreta»: un impareggiabile intreccio di interessi che rende la guerra materialmente impossibile. Al prezzo di continui negoziati, su un numero crescente di argomenti, tra un numero crescente di Paesi. Certo alcuni aspetti possono suscitare perplessità : ministri di Paesi senza sbocco sul mare che si infervorano per le quote di pesca, europarlamentari scandinavi che discettano sul prezzo dell’olio d’oliva. Ma l’Unione europea è maestra nell’arte del compromesso. Non un teatro di vittorie e sconfitte, ma una casa dove tutti i Paesi si riscattano nel dialogo.
E così ci siamo riusciti. La pace è realtà . La guerra è inimmaginabile. Ma «inimmaginabile» non vuol dire «impossibile». Ecco perché siamo riuniti qui a Oslo, oggi. Perché l’Europa deve mantenere la sua promessa di pace, anche se questa promessa non basta a coinvolgere i cittadini. La conferma è proprio in quello che sta succedendo oggi: la crisi economica che viviamo, la peggiore delle ultime due generazioni, mette a dura prova la vita dei cittadini e i legami politici su cui si regge l’Unione. Famiglie che arrivano a fatica a fine mese, lavoratori per strada, studenti che vivono nell’angoscia di non trovare lavoro, per quanto facciano: la prima cosa che viene loro in mente quando pensano all’Europa non è certo la pace…
Lavoriamo duro per superare queste difficoltà , per rilanciare la crescita e l’occupazione. E siamo certi che ci riusciremo. L’Unione europea non è solo però una storia di pace tra nazioni. È un progetto politico che incarna la definizione di pace tramandataci da Spinoza: «Uno stato d’animo, una disposizione alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia». È quanto dimostrano altri importanti momenti storici: le popolazioni esultanti che festeggiano la libertà  e la rivoluzione democratica nelle strade del Portogallo, della Spagna e della Grecia. La stessa esultanza condivisa anni dopo dalle popolazioni dell’Europa centrale e dell’Est e degli Stati baltici.
È questa ricerca di libertà  e di democrazia che ha reso possibile la riunificazione del continente e che fa dell’Unione europea la nostra patria comune. La «patria delle nostre patrie», come la chiamava Và¡clav Havel. I nostri padri fondatori hanno ben capito che per garantire la pace nell’Europa del XX secolo bisognava pensare oltre lo Stato nazione. L’unicità  del progetto europeo sta proprio nell’aver associato la legittimità  degli Stati democratici a quella di istituzioni sovranazionali che agiscono nell’interesse generale europeo.
La nostra ricerca di unità  europea non è però fine a se stessa, ma votata a fini superiori. È la ricerca di un ordine cosmopolita. Al di là  delle sue imperfezioni, l’Unione europea ha di fatto la grande capacità  di ispirare il mondo. Perché, a prescindere dalla propria nazione o dal proprio continente, ognuno di noi è cittadino dell’umanità . L’impegno concreto dell’Unione europea nel mondo è segnato dalla tragica esperienza del nazionalismo estremo, delle guerre e del male più atroce: la Shoah, e il nostro impegno anela a evitare che si ripetano gli errori del passato. Su queste basi si fondano il nostro approccio multilaterale e le nostre relazioni con i partner internazionali, su queste basi condanniamo la pena di morte e sosteniamo la giustizia internazionale, esercitiamo la nostra leadership nella lotta contro i cambiamenti climatici e per la sicurezza alimentare ed energetica e decidiamo le nostre politiche sul disarmo e contro la proliferazione nucleare. Da continente segnato dalla devastazione, l’Europa si è trasformata in una delle più grandi economie mondiali e porta una precisa responsabilità  nei confronti di milioni di persone in condizioni di necessità . Come comunità  di nazioni scampata al totalitarismo, saremo sempre dalla parte di chi anela alla pace e alla giustizia, alla democrazia e alla dignità  umana (…).
Alfred Nobel teneva particolarmente a cuore la «pacificazione dell’Europa» che, in una prima versione delle sue volontà , coincideva con la pace internazionale. Negli ultimi sessant’anni l’Unione europea ha dimostrato che i popoli e le nazioni possono essere uniti oltre i confini.
Questo nostro continente, sorto dalle ceneri del 1945 e unitosi nel 1989, ha una grande capacità  di rigenerarsi. Alla posterità  il compito di portare oltre questa impresa comune. Ci auguriamo che i posteri sapranno assumersene la responsabilità  con orgoglio e sappiano dire, come diciamo noi qui a Oslo: sono fiero di essere europeo.


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