Cairo, alla piazza non basta il passo indietro di Morsi

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IL CAIRO — L’opposizione egiziana non ci sta. Si scontra con un netto rifiuto, l’offerta di compromesso del presidente Mohamed Morsi, che sabato sera aveva accettato di ritirare il decreto con cui a fine novembre si era dato poteri straordinari, ma non aveva concesso nulla sul referendum costituzionale, che gli avversari vorrebbero annullato o quanto meno rinviato e che invece il leader islamico ha confermato per il 15 dicembre.
Fallisce così il tentativo, patrocinato dai militari, di ricucire la profonda spaccatura politica che destabilizza l’Egitto e minaccia di sprofondarlo in una nuova spirale di violenza e di caos. Morsi e il suo partito, i Fratelli Musulmani, difendono la consultazione come il sigillo alla transizione verso la democrazia, iniziata con la Rivoluzione che quasi due anni fa rovesciò il regime di Hosni Mubarak. Ma l’opposizione liberale, cristiana e di sinistra accusa la maggioranza islamica di aver forzato il processo democratico, imponendo in tutta fretta una Costituzione molto ambigua sulle libertà  fondamentali e i diritti delle minoranze, così piena di eccezioni da far temere che possa servire ad aprire la strada a una Repubblica fondata sulla sharia.
Al termine di una lunga riunione dei suoi leader, il Fronte di Salvezza Nazionale, nel quale si ritrovano tutte le componenti d’opposizione, ha dichiarato di rifiutare il referendum, poiché Morsi non aveva alcun diritto di indirlo. E ha invitato la popolazione a boicottarlo, continuando la sua pacifica protesta, considerata l’unica alternativa possibile. Per la prima volta il Fronte ha parlato di una nuova Rivoluzione. E la portavoce Karina Hefnawi non ha escluso che l’onda della protesta possa salire di livello, portando anche a uno sciopero generale, che paralizzerebbe tutte le attività  del Paese. L’opposizione ha accusato Morsi di applicare gli stessi metodi del vecchio raìs, addossandogli la responsabilità  dell’inasprimento della situazione, all’origine delle violenze che la scorsa settimana hanno causato sette morti e centinaia di feriti. Al presidente è stata inoltre rimproverata una sistematica campagna di intimidazione verso i giornalisti e i media.
La mobilitazione di piazza contro il governo è continuata, sia pure con una più bassa partecipazione. Diversi cortei sono confluiti verso il Palazzo presidenziale, ora circondato da un’alta muraglia di blocchi di cemento. Ma il fronte del potere non molla la presa. I Fratelli Musulmani rispondono mobilitando la base dei militanti e rivendicano la legge dei numeri, sicuri di vincere il confronto delle urne: «Chiediamo agli altri di accettare i risultati del referendum e i principi della democrazia», ha detto ieri il loro portavoce, Mahmoud Ghozlan. Da parte sua Morsi, che non vuole lasciare nulla al caso, ha reso ieri ufficiale il decreto che affida all’esercito il mantenimento dell’ordine pubblico fino a dopo i risultati del referendum. Questo comprende il diritto di arrestare i civili che saranno coinvolti in atti illegali. E quanto i militari siano attenti a far sentire la loro presenza, suona conferma il passaggio ieri mattina a bassa quota sopra il cielo del Cairo di 14 caccia F-16. Li hanno visti tutti. Per buona memoria, l’ultima volta era accaduto nel gennaio 2011, vigilia della caduta di Mubarak.


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