Il dramma di Chà¡vez in diretta tv “Ho di nuovo il cancro, forse lascio”

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NON era un arrivederci, sembrava un addio il discorso televisivo della notte scorsa del presidente venezuelano. Intorno a un tavolo, nel palazzo di Miraflores, circondato dai suoi più stretti e fedeli collaboratori, Chà¡vez ha ammesso per la prima volta di fronte al Paese quello che ha negato e conservato nel più assoluto segreto per mesi. Il tumore diagnosticato per la prima volta un anno e mezzo fa non è stato vinto. Il presidente non è guarito nonostante tre interventi chirurgici, la chemio e la radioterapia.
E ora, appena due mesi dopo la sua rielezione, la situazione è grave. Tanto grave che il presidente è rientrato da Cuba soltanto per designare un successore in diretta tv, per chiedere «con il cuore» ai suoi militanti di appoggiare un suo delfino, strozzando sul nascere le lotte intestine che potrebbero scoppiare nel movimento chavista se lui dovesse abbandonare la scena senza aver fatto testamento. Così l’ha fatto, da grande leader populista qual è, ed è tornato al Cimeq, l’ospedale dell’Avana, dove nei prossimi giorni sarà  sottoposto al quarto intervento chirurgico dal luglio del 2011.
«La mia opinione ferma — ha detto — , piena, come la luna piena, irrevocabile, assoluta, è che se io non fossi in grado di svolgere le mie funzioni e fosse necessario convocare nuove elezioni voi dovreste eleggere Nicolà¡s Maduro come presidente». Mentre Chà¡vez parlava, alla sua sinistra Maduro aveva l’aria sconvolta, quasi impaurita. A un certo punto Chà¡vez stava addirittura per passare a Maduro la spada di Bolivar (bastone del comando in Venezuela) ma si è fermato tra gli sguardi attoniti degli altri presenti. Era troppo. Sarebbero diventate simbolicamente dimissioni in diretta e in anticipo.
A Caracas l’ex ministro degli Esteri Nicolà¡s Maduro, nominato vicepresidente lo scorso 10 ottobre, viene considerato l’uomo di fiducia del regime cubano, di Raàºl e Fidel Castro. Ma è anche, da sempre, uno degli uomini più leali a Hugo Chà¡vez. Si conobbero nel 1992 quando la moglie di Maduro, Cilia Flores, avvocato, assunse la difesa del colonnello Chà¡vez allora agli arresti per un fallito tentativo di golpe ai danni del presidente Carlos Andrés Pérez. Da giovane Maduro era stato maoista e, negli anni Novanta, era un leader sindacale e lavorava come autista di autobus. Chà¡vez lo volle con sé, tra i fondatori del Movimento V Repubblica, il partito bolivariano che nacque in quegli anni tra i giovani ufficiali dell’esercito. Con l’avvento di Chà¡vez in politica nel 1998 Maduro venne eletto deputato, poi nel 2006 divenne ministro degli Esteri. Nato nel 1962, Maduro è uno dei pochi tra i collaboratori del caudillo che non è cresciuto nelle Forze armate. Leader dell’ala civile del movimento chavista (e del Psuv, il partito socialista unificato) è considerato un moderato sgradito alle frange più radicali della “rivoluzione bolivariana”.
Grandi baffi, un faccione pacifico, Maduro è un uomo affabile che oltre a essere leale a Chà¡vez e a Cuba è stato un seguace, insieme alla moglie, di Sathya Sai Baba, il guru spirituale indiano scomparso poco più di un anno fa.


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