E il Bilancio dei summit finisce in rosso
E la conferenza di Doha terminata ieri — la diciottesima dal 1995 — non ha alimentato gli eventuali entusiasmi rimasti. Che si potessero fare passi avanti verso un accordo sui limiti alle emissioni di gas serra era escluso dall’inizio: da quando la Grande Crisi economica è iniziata, non c’è più stato un vertice nel quale si sia andati in quella direzione. Il summit di Copenaghen del 2009 — fallito e con Stati Uniti e Paesi emergenti che isolarono l’Europa, da sempre l’area più impegnata nella limitazione delle emissioni — indicò l’incapacità di queste mastodontiche riunioni/trattative di raggiungere risultati. Già ai vertici di Nairobi e di Bali del 2006 e del 2007 si era denunciato il «turismo climatico» di molti delegati: da quando, l’anno successivo, è scoppiata la crisi, i mega summit si sono svuotati di interesse. Ora, la promessa fatta a Doha dai Paesi ricchi di compensare quelli poveri per i danni prodotti dai cambiamenti del clima sembra vaga e in buona parte un impegno vecchio. Per il resto, si è per lo più allungata la vita degli impegni già in essere. La recessione e l’attenzione prioritaria su crescita economica e occupazione hanno rivelato che i vertici annuali sul clima sono fondati su una strategia oggi per molti (Usa e Paesi emergenti) insostenibile. Mettere limiti rigidi alle emissioni di gas serra è costoso: fino a che l’economia è cresciuta, si sono fatti (modesti) passi avanti nelle trattative, anche se poco significativi nel contenimento futuro del surriscaldamento globale. Ora è chiaro che la politica di stabilire tetti alle emissioni è in crisi e che una Kyoto Due che la rilanci è piuttosto lontana. Forse meglio abbandonarla per prendere altre strade: soprattutto, in alternativa, sostenere la ricerca di nuove ed efficienti tecnologie per le energie rinnovabili.
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