Governo-presidente, sarà  ancora scontro

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BUCAREST. Ancora una domenica elettorale per la Romania che domani andrà  al voto per le parlamentari. Solo poco più di quattro mesi fa, il Paese fu chiamato a scegliere, in un referendum, sulla deposizione del presidente in carica Traian Basescu che, puntando tutto sull’astensione dei suoi simpatizzanti, riuscì a mantenere, con una certa fatica, lo scranno più importante della repubblica semi-presidenziale balcanica, enclave latina nel mondo slavo.
Sfiduciato dal parlamento dopo la mozione di fiducia proposta dal governo del socialdemocratico Victor Ponta, Basescu per la seconda volta nelle sue due legislature, uscì vincitore dal referendum (il quorum non fu raggiunto ed il referendum dunque invalidato). Il risultato, però, non ha portato significativi cambiamenti in un quadro politico che vede Basescu condurre il paese con al governo l’opposizione dell’Unione social-liberale (Usl), guidata dal giovane Ponta.
Stavolta, il presidente farà  da spettatore relativamente interessato. Le elezioni, infatti, riguarderanno la formazione del nuovo parlamento in un contesto in cui i giochi sembrano praticamente fatti. La coalizione attualmente all’esecutivo (l’Usl), ibrida formazione composta da Partito socialdemocratico, Partito liberale, Partito conservatore e Unione nazionale per il progresso della Romania, è nettamente in testa nei sondaggi che la vogliono al 62 % delle preferenze. Quanto basta, nonostante siano soltanto previsioni di voto, a far capire che il governo sarà  di nuovo nelle mani della coppia Ponta-Antonescu (quest’ultimo leader del Partito liberale e papabile alla presidenza della Repubblica nelle elezioni che si terranno nel 2013). Dall’altra parte la coalizione dell’Alleanza della Romania di destra, dominata dal Pdl, il partito vicino al presidente Basescu, con al fianco il movimento dell’ex premier Ungureanu, è data tra il 17 e il 19%. Le altre forze in campo, sono il Partito del popolo capeggiato dalla controversa figura del miliardario populista Dan Diaconescu, e l’Udmr che rappresenta la sostanziosa minoranza magiara presente in Romania. Entrambe non dovrebbero avere problemi a superare la soglia di sbarramento elettorale.
I sondaggi, dunque, sono impietosi nei confronti del centro-destra che esce logoro dai due mandati consecutivi del suo personaggio di punta, il presidente Basescu, e paga a caro prezzo il peso di scelte che hanno messo il Paese nelle mani perfide di Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale e Banca Europea, spezzando di fatto, a partire dal 2009, il volo pindarico del secondo paese dell’ex blocco comunista con i maggior investimenti stranieri. Da quel momento in poi, l’atmosfera alla casa del popolo, la mastodontica opera architettonica fortemente voluta da Niculae Ceausescu, il secondo edificio più grande al mondo dopo il Pentagono e sede del Parlamento rumeno, è diventata irrespirabile, toccando punte molto critiche proprio in avvio del 2012, quando nel giro di pochi mesi sono caduti due governi. In marzo quello di Emil Boc, fedelissimo del presidente Basescu, vittima sacrificale di una politica fortemente, o del tutto condizionata dalle imposizioni dell’Fmi. Una politica che ha portato a tagli selvaggi alla spesa pubblica e messo in ginocchio la working class dei dipendenti pubblici e degli operai, gli anziani e, più in generale, la classe media in un Paese che già  fa enorme fatica a costruirla e che soffre di forti disparità  sociali e di un elevato livello di corruzione anche nella alte sfere del potere. Saltato Emil Boc, poi diventato sindaco nel suo feudo di Cluj Napoca al termine delle amministrative svoltesi a giugno, è arrivato il momento dell’intellettuale di destra Ungureanu, la cui presenza al governo è stata in pratica una comparsata. Eletto il 9 febbraio, a seguito delle dimissioni di Boc, Ungureanu è stato costretto anch’egli alle dimissioni dopo soli 84 giorni di governo. Da quale momento in poi è cominciata la personalissima battaglia tra l’attuale primo ministro Ponta e il presidente Basescu, che ha portato alla mozione di sfiducia, superata con qualche difficoltà  dal capo dello stato e che di fatto ha reso l’ingovernabilità  protagonista del quadro politico rumeno.
La campagna elettorale è sembrata povera di contenuti e si è aperta in maniera piuttosto «violenta». Prima le dimissioni forzate di tre ministri del governo Ponta, il ministro dei Trasporti, Ovidiu Silaghi, il ministro con delega al dialogo sociale, Liviu Pop e il ministro per lo sviluppo regionale e del turismo, Eduard Raul Hellvig, accusati dall’Ani, l’Agenzia nazionale rumena per l’integrità , di conflitto di interesse, incompatibilità  con le loro cariche e abuso in atti d’ufficio. Poi, l’arresto di un deputato del Partito democratico liberale di Vrancea, provincia nell’est della Romania, Alin Trasculescu, trattenuto dai procuratori della Direzione nazionale anticorruzione dopo essere stato sorpreso in fragrante, mentre riceveva una tangente da 50000 euro.
A ogni modo, non ci si aspettano grosse sorprese da queste competizione elettorale. La vittoria dell’Usl sembra essere al sicuro. Sarà  soltanto una questione di numeri e di seggi in parlamento. Quello che conta davvero è capire se la classe politica rumena sarà  in grado di garantire governabilità  nel periodo di transizione che traghetterà  il Paese verso le elezioni presidenziali dell’anno prossimo. I sondaggi danno avanti il leader del partito liberale Crin Antonescu e questo comporterebbe un binomio governo-presidenza generato dalla stessa parte politica. A quella data, però, ci si arriverà  tra oltre un anno durante il quale la Romania non può permettersi di restare in panne, vittima del dualismo antagonista del sistema semi-presidenziale e della rissosità  partitica. Alle porte bussano le banche e bisogna capire come l’Usl riuscirà  a difendere (non solo) il proprio elettorato da questa aggressione finanziaria.


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