Baci, lacrime. Il leader di Hamas a Gaza 45 anni dopo

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Di buon’ora, un’enorme scorta di mascherati delle Brigate Qassam e nell’abbraccio d’una discreta folla, tra spari in aria e caroselli d’auto, Meshaal bacia il suolo come un Papa, appena supera il valico egiziano di Rafah. E poi piange, preceduto in patria dalla moglie e dai sei figli e dai sette nipoti, «in questo momento che ho sognato tutta la vita e che considero la mia terza nascita: perché io nacqui la prima volta figlio dell’imam di Silwad e rinacqui una seconda, quindici anni fa, quando lo stolto sionista Netanyahu cercò d’avvelenarmi in Giordania e Dio invece mi protesse». Un ritorno d’abbracci appassionati, coi carissimi nemici del Fatah ad aspettarlo, e di qualche promessa: «Possiamo camminare verso la riconciliazione e l’unità  politica dei palestinesi. Prego Dio che la mia quarta nascita avvenga con la liberazione di tutta la Palestina. E che poi mi faccia martire qui».
Meshaal resterà  a Gaza tre giorni. Per festeggiare i 25 anni del movimento e preparare un futuro d’opportunità : la visita segue quelle del premier egiziano e dell’emiro qatarino, precede quella del turco Erdogan, è l’ennesimo segnale che in Medio Oriente molto sta cambiando e che, scrive la stampa araba, tutta la dirigenza di Hamas potrebbe traslocare presto nella Striscia. Di sicuro una mossa ardita, se è vero che a meno d’un mese dall’uccisione mirata del capo militare Ahmed Jaabari, quella che ha scatenato la guerra, Bibi Netanyahu intende rispettare la tregua ma evitare garanzie future per l’incolumità  di Meshaal: «Hamas è sempre Hamas – commenta un suo portavoce -, non conta chi comanda: terroristi che vogliono la distruzione d’Israele».
Retorica a parte, dopo i razzi e i morti di novembre, il dialogo con Israele prosegue. Coi negoziati del Cairo, per allentare il blocco navale e i divieti d’import-export. E con quest’operazione incoraggiata dalla Casa Bianca, per riportare in sella lo stesso Meshaal: sunnita, il capo del politburo in questi mesi s’è liberato dell’imbarazzante ospitalità  del dittatore siriano Assad, combattuto proprio dai sunniti, ed è oggi considerato meno estremista del leader lanciarazzi di Gaza, Ismail Hanyieh: «Meshaal ha mollato Damasco e l’Iran per riavvicinarsi ai sunniti d’Egitto e Qatar — commenta Alex Fishman, editorialista israeliano —. Questo fronte anti-iraniano è un’occasione anche per Netanyahu». Unico problema, Bibi ha sempre considerato Hamas il male assoluto: come farà  a spiegare il dialogo ai suoi elettori? «Semplice: senza spiegarlo».


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