La procura libera gli impianti ma non arrivano materie prime

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La Procura di Taranto ha accolto nella mattinata di ieri la richiesta della difesa dell’Ilva di restituzione dei beni dell’impresa e cioè degli impianti dell’area a caldo sequestrati a luglio scorso. Non si tratta di un dissequestro vero e proprio, ma di un’applicazione del decreto legge del ministro Clini. Si tratta, più semplicemente, di una facoltà  d’uso. Questo perché, secondo l’interpretazione della Procura, il decreto impone di riprendere la produzione anche in permanenza del sequestro.
Sempre ieri, infatti, la Procura ha espresso parere negativo in merito all’altra istanza presentata dall’Ilva, di restituzione dei prodotti finiti e semilavorati sequestrati il 26 novembre, perché frutto di reato in quanto prodotti durante il sequestro e senza la facoltà  d’uso degli impianti per l’attività  produttiva. Il motivo della decisione, è semplice: il decreto non ha effetto retroattivo. E’ la stessa procura a spiegarlo: «La legge dispone solo per l’avvenire: non ha effetto retroattivo. L’attività  con la relativa produzione è avvenuta prima dell’emanazione del decreto» e non è soggetta a quelle regole.
Il parere è stato inviato al gip del Tribunale Patrizia Todisco per la decisione finale. Potrebbe dunque profilarsi la possibilità  che rimangano sequestrati i prodotti finiti realizzati da luglio a novembre e che, invece, non siano più sequestrati i prodotti realizzati all’indomani del decreto del governo.
Intanto, venuta meno l’udienza in programma oggi al Tribunale del Riesame, potrebbe essere proprio il gip Patrizia Todisco, che ha firmato tutti i provvedimenti sull’Ilva, a sollevare la questione alla Corte Costituzionale raccogliendo anche i pareri della procura. Ma i problemi dell’Ilva, sono tutt’altro che finiti.
L’azienda potrebbe annunciare a breve nuove ripercussioni sull’attività  produttiva del siderurgico, a seguito del ridottissimo livello di scorte delle materie prime. Il tutto è dovuto al divieto allo scarico di materie prime oltre le 15mila tonnellate imposto dai custodi giudiziari e ai danni subiti dalle gru di carico e scarico a causa del tornado di mercoledì scorso: l’azienda ha disponibilità  di minerali per 5-6 giorni ancora. Sono sette le navi ferme in rada e impossibilitate ad attraccare, mentre un’altra è bloccata al quarto sporgente dove le gru sono sotto sequestro per l’incidente che ha causato la morte dell’operaio Francesco Zaccaria.
In aumento anche gli oneri delle controstallie, i costi che Ilva paga per la sosta prolungata delle navi. Secondo l’azienda si è già  a 7 milioni di dollari: e le cifre sono in aumento. L’azienda oggi fermerà  le batterie coke 3-4-5-6 perché devono essere sottoposte a rifacimento in base a quanto previsto dal piano dell’azienda e dall’Aia; mentre l’altoforno 1 sarà  fermato, anch’esso per rifacimento, da sabato. Queste fermate determineranno un esubero iniziale di circa 100 lavoratori che l’Ilva riassorbirà  all’interno dello stabilimento. Per quanto riguarda la cassa integrazione per gli addetti dell’area a freddo, i sindacati hanno ribadito che non firmeranno alcun accordo sin quando non sarà  loro presentato un prospetto dettagliato dei lavori che dovranno essere fatti con l’Aia.
La situazione nello stabilimento resta tutt’altro che tranquilla, tanto che ieri si è verificato un nuovo incidente all’interno dell’impianto. Nel primo pomeriggio, il cestello dello sky in cui sono posizionati i comandi di guida, è stato colpito dal braccio del semovente che lo seguiva e il conducente è stato sbalzato fuori dal mezzo riportando delle contusioni. Soccorso immediatamente è stato trasportato in ospedale per accertamenti (prognosi di 20 giorni). La gip Todisco
valuta il ricorso alla Consulta.
I danni a gru e banchine rendono difficili le forniture e l’attracco delle navi


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