È battaglia sul referendum
Mobilitati anche i Fratelli musulmani. Le opposizioni: «Via il decreto presidenziale, annullamento del referendum costituzionale del 15, nuova Assemblea costituente» «Il sangue versato annulla la legittimità di Morsi». È con queste parole che Hamdin Sabbahi, leader nasserista dell’opposizione egiziana, ha commentato gli scontri di ieri. Ha parlato in una conferenza stampa insieme ai liberali, Mohamed el-Baradei e Amr Mussa. Martedì sera era trapelata la notizia che i tre leader politici sono indagati per spionaggio. Dalle opposizioni, questa viene considerata un’azione intimidatoria, in perfetto stile Partito nazionale democratico. L’ex presidente Mubarak aveva usato un deterrente simile nel 2010 per prevenire proprio l’impegno politico e la partecipazione diretta di el-Baradei, che di conseguenza aveva lasciato il paese.
Dopo l’assedio del palazzo presidenziale di martedì sera con la fuga improvvisa di Morsi, centinaia di manifestanti hanno dormito nelle tende allestite sui marciapiedi di questo quartiere residenziale che si trova sulla strada per l’aeroporto. Morsi era poi tornato a lavoro nella mattina di ieri. Nel pomeriggio, attivisti laici, socialisti e copti hanno organizzato un’unica manifestazione intorno al palazzo del presidente. Le opposizioni hanno richieste concrete ma di poco probabile realizzazione: il ritiro del decreto presidenziale, l’annullamento del referendum costituzionale del prossimo 15 dicembre e la formazione di una nuova Assemblea costituente, inclusiva di tutte le anime della società egiziana.
Anche i Fratelli musulmani hanno chiamato alla protesta, sempre alle porte di quel luogo una volta irraggiungibile: il palazzo di Heliopolis. «Le divisioni saranno superate solo con il ricorso alle urne, non con il sabotaggio del paese e dell’economia», si leggeva in un documento che circolava per strada. «Le manifestazioni non pacifiche sono un’offesa per l’Egitto, ma gli egiziani salveranno i profitti della nostra grande rivoluzione», continuava il testo, siglato Libertà e giustizia e el-Nour.
Nonostante gli scontri di ieri, fino al primo pomeriggio non era presente nessun poliziotto ad Heliopolis. In serata sono arrivate le forze della Sicurezza centrale che hanno montato una barriera tra i manifestanti pro e anti Morsi esacerbando lo scontro. Quando le due fazioni di manifestanti hanno raggiunto il Palazzo, è iniziata una sassaiola che ha provocato due morti e decine di feriti di cui alcuni in gravissime condizioni. Non solo, dopo aver appreso la notizia, uno dei consiglieri del presidente, Seif Abdel Fatah, ha annunciato le sue dimissioni in nome dei «martiri caduti».
Ma a gettare acqua sul fuoco sono arrivate le rassicurazioni di vari politici. Il vicepresidente Mahmoud Mekki ha detto che gli articoli «contestati» della costituzione possono essere modificati. Mekki ha aggiunto che il referendum costituzionale si terrà come previsto il 15 dicembre. Tuttavia, il vicepresidente ha ventilato la possibilità che Morsi non metta in atto la dichiarazione costituzionale. «Un giudice non avrebbe mai scritto un testo del genere. Ed è vero che colpisce l’indipendenza della magistratura, lo dico da giudice. Ma è stata emessa in circostanze particolari», ha concluso.
Come se non bastasse, la notizia della supervisione del referendum costituzionale da parte dei giudici aveva diffuso ottimismo nella borsa del Cairo. Tuttavia, nella giornata di ieri sono arrivati i primi distinguo. Primi fra tutti, Ahmed Zend, a guida del sindacato dei giudici, e Abdallah Fathy, vice presidente della corte di Cassazione, hanno assicurato il boicottaggio del voto se la dichiarazione costituzionale restasse in piedi.
Nelle prossime ore Morsi dovrà fare delle concessioni oppure confermare la sua svolta autoritaria. Ormai è rimasto poco del presidente acclamato dal popolo egiziano come l’unica possibilità di cambiamento. I Fratelli musulmani si mostrano perfetti delegati dell’esercito, che come al solito attende e così difende l’uomo che ha scelto.
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