L’austerità  inglese ha fatto flop

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George Osborne, il potente cancelliere dello scacchiere britannico che manovra le leve della finanza pubblica da quando i conservatori sono tornati a Downing Street, si è presentato come il mago Merlino della situazione, l’unico in grado di usare in maniera virtuosa la bacchetta anticrisi. Il fatto che oggi, a metà  termine della legislatura nel suo «Autumn Statement» al Parlamento, George Osborne, uomo piuttosto spigoloso e altezzoso, si pieghi fino al punto di ammettere che «non ci sono cure miracolose» è la confessione di un atteggiamento sbagliato in origine: i duri piani di austerità  del 2010 e del 2011 sono stati accompagnati dalla definizione di «medicine amare e infallibili» ma si stanno rivelando insufficienti e inefficaci, così le previsioni di correzione del deficit e del debito devono essere riscritte e la crescita del prodotto interno lordo che per l’anno in corso era stata stimata dello 0,8% si trasforma in un arretramento dello 0,1 (nonostante il Giubileo della regina e le Olimpiadi). Il risultato, non certo brillante, è che l’austerità , con altri tagli al welfare e ai bilanci ministeriali, dovrà  essere allungata al 2018 prima di convertirsi in una stabile ripresa. L’onda del grave malessere europeo non poteva non produrre i suoi effetti pesanti anche nell’Isola. La presunzione di sentirsene lontani e la convinzione di risolvere i problemi derivati dal costoso salvataggio del sistema bancario nel 2008 con un drastico programma di ridimensionamento della spesa pubblica senza alcuna idea per stimolare la risalita si sono rivelati progetti di scarso respiro. Sia sotto il profilo economico sia sotto il profilo politico perché in due anni e mezzo di restrizioni crescenti a pagarne il conto più salato sono state le famiglie del ceto medio, spina dorsale della vittoria conservatrice alle ultime elezioni. Alla fine anche un personaggio pieno di certezze e mai di dubbi, come George Osborne, ne ha dovuto prendere atto. Le previsioni sul percorso della finanza pubblica per i prossimi sei anni illustrate alla Camera dei Comuni segnalano la drammaticità  della situazione e la necessità  di una importante correzione di rotta strategica del governo Cameron. Il cancelliere dello scacchiere percorre una nuova strada e costruisce una manovra che questa volta chiede sacrifici ai ricchi (le loro pensioni avranno un carico fiscale maggiore) e, contemporaneamente, propone un ulteriore ridimensionamento dei benefici sociali previsti per le fasce deboli compensato dall’innalzamento delle soglia di esenzione dalle imposte sui redditi fino a 9.440 sterline. Osborne garantisce finanziamenti per le scuole, per le infrastrutture stradali e per i progetti scientifici, oltre che il taglio al 21% della corporate tax in modo da rendere competitiva «nella corsa globale» l’impresa con base nel Regno Unito. Soprattutto, in questo restyling, Osborne giura che l’unico dipartimento governativo al riparo dal ridimensionamento sarà  l’Ufficio delle tasse che, anzi, avrà  compiti rafforzati di lotta all’evasione. Austerità  condita da promesse coraggiose, specie per il ceto medio. Chissà  se è troppo tardi. La presunzione ha portato al fallimento e con ogni probabilità  al downgrade delle agenzie di rating che presto arriverà  e toglierà  i «voti» di eccellenza all’economia britannica. Brutto colpo per il cancelliere dello scacchiere che si credeva una «Lady di ferro» ma è costretto a cospargersi il capo di cenere.


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