IL BIVIO DI BERSANI

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Le urne offriranno una fotografia in movimento dei rapporti di forza di quell’amalgama (nato in laboratorio e piuttosto mal riuscito), che ora, alla prova del voto, si dovrà  cominciare a sciogliere. Se toccherà  a Bersani, da domani fino alle elezioni vere, il segretario dovrà  finalmente mettere un po’ di carne al fuoco per sciogliere i nodi politici del Pd e, di conseguenza, del centrosinistra.
L’operazione primarie ha indubbiamente rinvigorito la leadership bersaniana. Aprendole e sottoponendosi al voto popolare, il segretario ha allargato e rafforzato la sua legittimazione. Che uso ne farà  lo vedremo nei prossimi cento giorni, il tempo di una campagna elettorale che dovrà  mettere nel piatto contenuti e alleanze, in quest’ordine. Tra montismo e antiliberismo, tra Renzi e Vendola. 
La scelta di assimilare la miscela di grillismo e montismo di Renzi è un’autostrada. In fondo un primo passo coerente verso l’ennesimo accordo-inciucio con Casini. E’ una via che sancirebbe un consistente spostamento a destra del partito e del governo. E indubbiamente questa è la sostanza dello scossone che ha portato Renzi al ballottaggio. Nei tre milioni che hanno votato, se vogliamo rispettarli tutti, c’è anche questa linea di cambiamento.
L’alternativa è altrettanto chiara, ma tutta in salita. Un Pd che guarda a sinistra, scarta dall’agenda della Troika, propone, insieme ai paesi del sud dell’Europa, una credibile alternativa alle politiche di austerità  , va ad un’alleanza di programma con Vendola tentando di calamitare (prima o dopo le elezioni, a seconda della legge elettorale) quella cittadinanza attiva già  in campo. Ieri con i referendum e i sindaci arancioni, oggi con le liste del sindaco Luigi De Magistris e con quelle del magistrato Antonino Ingroia, futuro leader dell’arcipelago di movimenti e intellettuali raccolti intorno a “cambiare si può”, riuniti a Roma in un’affollata assemblea.
L’invito rivolto dal leader di Sel al suo 16 per cento perché chi lo ha scelto vada ai seggi per votare, con la penna e con il cuore, Bersani, fanno pendere il piatto della bilancia. Ma se dovessimo prendere come metro di misura quel che Bersani ha detto della riforma Fornero, sia sulle pensioni che sull’articolo 18, il piatto della bilancia verrebbe rapidamente rovesciato. Su questi contenuti siamo ancora fermi al 9 giugno quando il centrosinistra fu chiamato a rapporto dalla Fiom per capire chi, da Di Pietro a Ferrero, avrebbe messo nel suo programma i diritti del lavoro. 
Restare ancora in mezzo al guado dopo un anno di cura del governo tecnico sarebbe esiziale. Anche perché la forza distruttrice della crisi gonfia l’esercito di riserva dei disoccupati e le vele di Monti


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