PALESTINA.Tra la vittoria e i dubbi

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L’astensione tedesca poi ha un valore tutto suo. 
Si è un po’ incrinato il complesso quanto problematico rapporto con i tedeschi che non hanno votato per Israele, dicendo basta al ricatto sentimentale cui li avevano abituati e, in forma discreta, hanno detto a Israele che esiste un limiteIl successo all’Onu può essere di grande importanza perché apre la porta alla possibilità  di un maggiore movimento diplomatico, compreso il possibile isolamento di un governo avventurista come quello israeliano, che non è interessato alla pace ma al consolidamento dell’espansionismo territoriale tanto caro all’alleanza fondamentalista e ultranazionalista dominante. 
Il governo Netanyahu, già  attaccato da destra e sinistra, percepisce che la sua tattica è fallita e annuncia una nuova mossa: ulteriori costruzioni di case per i coloni nei territori occupati, mentre l’estrema destra lo accusa di aver trattato con Hamas per porre fine alla recente guerra contro Gaza. 
Alcuni ministri israeliani avevano espresso la necessità  di far cadere l’Autorità  palestinese ma si sono zittiti, all’improvviso, quando hanno «scoperto» che la caduta di Abu Mazen avrebbe significato il rinvigorimento di Hamas. Di più, se l’Autorità  cadesse gli israeliani dovranno rivedere i progetti di occupazione, compreso il loro costo economico. Finora si è trattato di una occupazione di lusso, con finanziamenti internazionali e un’Autorità  relativamente forte. Nei giorni precedenti al voto dichiaravano che si sarebbe trattato di un atto simbolico, senza importanza, ma quando hanno visto la maggioranza dei paesi chiave in Europa votare a favore dei palestinesi, è stato chiaro che si trattava di una sconfitta diplomatica molto seria. 
Pur restando una conquista importante è comunque necessario considerare alcuni effetti reali sul campo. Va bene, ora c’è uno stato palestinese osservatore all’Onu. Ma l’occupazione, la costante colonizzazione e la strisciante annessione dei territori occupati continua, rendendo sempre più difficile il cammino verso un vero dialogo. 
Hamas inizialmente era contraria all’iniziativa ma, anche se sotto tono, è sembrato che alcuni suoi membri ne favorissero il passaggio. La questione critica è che i festeggiamenti nei territori occupati hanno goduto di poco appoggio popolare, perché la maggioranza sa, capisce, sospetta e prevede che gli artifici diplomatici non porteranno alla fine dell’occupazione. Altre terre confiscate, più repressione militare, più povertà ; le leggi base dell’occupazione israeliana non subiranno alcuna modifica per effetto della decisione presa ieri l’altro a New York. 
Altro elemento rilevante sta nella crisi egiziana che coinvolge un presidente il quale può avere un ruolo chiave nel processo di riunificazione palestinese. La riconciliazione tra Hamas e Al-Fatah è di fondamentale importanza, senza di essa non è immaginabile alcun progresso serio verso la pace. 
Il governo israeliano minaccia ulteriori insediamenti. E’ la retorica classica ma sarà  meno influente se si riescono coordinare le due questioni: la riunificazione palestinese e uno sforzo diplomatico internazionale che dica a Israele «basta». In tale contesto risulta chiaro che il voto all’Onu potrebbe essere un punto molto rilevante nel cambiare il corso degli eventi. 
Gli Stati uniti hanno votato con Israele mentre i suoi alleati hanno detto chiaramente a Israele che deve cambiare. Gli Usa hanno criticato la decisione presa dagli alleati ma senza particolare entusiasmo. Sembrerebbe che dopo la vittoria di Obama su un Romney – che beneficiò di un esagerato appoggio da parte di Netanyahu e compari (rifiutato però dalla maggioranza degli ebrei americani) – sarebbe più facile trasformare l’inimicizia personale in un nuovo tentativo diplomatico.
Il 22 gennaio gli israeliani andranno al voto e molto probabilmente la coalizione di estrema destra trionferà . Sarà  il momento per l’Europa per mettere in moto un processo che deve trovare copartecipi gli americani, i russi e gli altri. Con una riunificazione palestinese quello potrebbe essere un momento critico nello sviluppo, oltre che centenario, del conflitto israelo-palestinese. 
Avviare un serio processo significherà  esercitare una seria pressione sul governo israeliano, un processo che non dovrebbe solo arrivare a serie trattative di pace, ma frenare la possibile follia israeliana che, in risposta alle pressioni e per evitare il ritiro dai territori occupati nel 1967, quasi sicuramente tornerà  sulla questione nucleare in Iran e, forse, potrebbe tentare un attacco militare che sarebbe disastroso, per Israele e per l’intera regione


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