L’election day si sdoppia. No del Pdl

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ROMA — L’«election day» forse si sdoppia: il 10 febbraio si vota per le regionali nel Lazio (con possibile accorpamento del voto in Lombardia e Molise) mentre per le politiche, a questo punto, si cercherà  di attendere la scadenza naturale della legislatura, con apertura dei seggi a fine marzo o il 7 aprile, anche se eventuali incidenti di percorso in Parlamento riaprirebbero lo stesse lo scenario delle elezioni anticipate il 10 marzo.
Alle elezioni politiche verrebbero comunque accorpate le altre amministrative, programmate per la primavera in una sessantina di Comuni tra cui Roma, Brescia, Sondrio, Treviso, Udine, Imperia, Massa, Siena e Pisa. Ma il segretario del Pdl, Angelino Alfano, ha già  fatto sapere di essere contrario a questa ipotesi di spezzatino del voto perché la mancata celebrazione dell’«election day» rappresenta «uno spreco di denaro pubblico intollerabile in tempo di crisi». In realtà  il Pdl, con Fabrizio Cicchitto, chiede l’unificazione di regionali e politiche. Eppure la previsione di un doppio appuntamento elettorale — che concederebbe alle Camere di lavorare tutto gennaio e parte di febbraio — non contrasta con le affermazioni del capo dello Stato secondo il quale, se ci sarà  «ampia condivisione» tra i partiti, «la legge elettorale può essere modificata anche a ridosso delle elezioni senza per questo contravvenire alle indicazioni» del Consiglio d’Europa.
In principio, il Quirinale aveva dato il suo assenso all’«election day» per il 10 marzo, raccogliendo anche le richieste pressanti del centrodestra. Poi, però, questa settimana è intervenuta la sentenza del Consiglio di Stato che ha rigettato definitivamente il ricorso di Renata Polverini, ordinando alla governatrice del Lazio uscente di indire elezioni il più presto possibile. Per Alfano si tratta di una «decisione obbligata quanto sbagliata»: per cui, aggiunge il segretario, «occorre individuare una soluzione diversa e a questo scopo confido in un tempestivo intervento del governo che tenga nel dovuto conto i delicati equilibri».
E così, dopo 60 giorni di resistenza, la Polverini ha firmato il decreto che tutti aspettavano rosicchiando giorni in più. L’avvocato Gianluigi Pellegrino, che aveva trascinato la Regione davanti al Tar, osserva: «A rigore le elezioni si sarebbero dovute tenere la prima domenica utile passati 50 giorni dalla data di indizione, per cui era corretto votare il 27 gennaio o il 3 febbraio». E ora al Viminale hanno rispolverato una nota del ministro Cancellieri che 15 giorni fa allertava i prefetti di Campobasso e Milano perché convocassero i comizi elettorali nel più breve tempo possibile. E anche Roberto Formigoni ha fretta: «Probabilmente le elezioni regionali in Lombardia saranno il 10 febbraio. Bene così, avevamo chiesto di votare il prima possibile».
Se la legislatura arriva a scadenza, le Camere avrebbero un mese in più per portare a termine i provvedimenti che il governo reputa irrinunciabili: legge di Stabilità , decreto sviluppo, decreto legislativo incandidabilità  (che il governo varerà  il 5 dicembre) e la legge elettorale che va in aula al Senato sempre mercoledì 5. Ieri Napolitano — rispondendo a Francesco Storace e Maurizio Turco (radicali) che avevano sollevato il problema — ha ricordato la sua preoccupazione per la legge elettorale per altro già  formalizzata dalla Consulta: «La mancata previsione di una soglia per poter fruire del premio di maggioranza».


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