Un governo in affanno costretto a navigare fra segnali negativi

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La torsione inevitabile dei partiti in direzione delle urne accentua il sospetto di un esecutivo condannato a moltiplicare i suoi sforzi per essere ascoltato; e di un Mario Monti deciso a dire verità , anche spiacevoli. Ma con il rischio crescente di ritrovarsi sempre più solo: a capo di un esecutivo guardato come un ingombro del quale liberarsi al più presto. Per questo, dopo avere lanciato il suo allarme ieri mattina a Palermo, Monti ha affidato ad una nota di palazzo Chigi una lettura più rassicurante, almeno nella forma: nel senso che il sistema sanitario non sarà  smantellato.
Ma l’analisi delle tendenze di medio e lungo termine, fatta dalla Ragioneria dello Stato, è impietosa. E spiega perché il premier abbia ribadito che in futuro l’impatto della crisi si assorbirà  soltanto ricorrendo a «forme di finanziamento integrativo» della sanità . In sostanza, o si cambia o salta tutto. La reazione della maggioranza appare fredda; e aggressiva quella delle opposizioni. È come se in questi giorni il presidente del Consiglio dovesse affrontare un doppio attacco: quello delle istituzioni internazionali che moltiplicano rapporti scoraggianti sul futuro dell’Italia; e quello, fatto sempre più di indifferenza e quasi di fastidio, dei partiti in campagna elettorale.
Le notizie negative, si tratti della chiusura dell’Ilva di Taranto o delle previsioni negative dell’Ocse fino al 2014, vengono accolte dalle forze politiche come una conferma dell’inadeguatezza del governo dei tecnici; e, da qualcuno, come la controprova che le ricette della cosiddetta «agenda Monti» non porterebbero da nessuna parte, tranne che alla recessione. Questo costringe il presidente del Consiglio e i suoi ministri a una difesa puntuta e faticosa di quanto è stato fatto: una strategia della comunicazione che a tratti assume i contorni della controinformazione. È una scelta obbligata. Monti non può non difendere le scelte fatte finora per una doppia ragione: una immediata e l’altra di medio periodo.
La prima è di evitare che i provvedimenti siano abbandonati al proprio destino, quasi dimenticati di qui alle elezioni politiche prevedibili il 10 marzo del 2013. Significherebbe infatti rimettere l’Italia nel mirino della speculazione finanziaria. Il secondo motivo è che Monti non vede alternative alla politica economica seguita nell’ultimo anno e approvata dalle istituzioni finanziarie europee e dalla Commissione Ue: rimanga o no a palazzo Chigi. L’ipotesi di ricorrere di nuovo a un governo di tecnici è giudicata negativamente dallo stesso premier: significherebbe la replica del fallimento della politica, che nessuno si può augurare. Ma l’ipotesi di una coalizione di partiti guidata ancora da Monti dopo le elezioni non è tramontata. E, in teoria, rimane sullo sfondo perfino la possibilità  che il premier si lasci candidare da alcuni partiti. Il «no» alla candidabilità  di Monti arrivato nei giorni scorsi dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, riguarda solo la sua figura di senatore a vita.
Per il resto, il capo del governo ha fatto sapere che deciderà  il futuro da solo ma dopo avere ascoltato il Quirinale. E nel modo in cui rivendica uno stile di comunicazione sincero fino alla brutalità , si attribuisce un profilo che sfida i partiti e compete di fatto con loro. Così, quando Monti sostiene che «è politico spiegare ai cittadini la realtà  cruda e la mancanza di soluzioni facili, trattando i cittadini da adulti», si avverte un filo di polemica nei confronti delle facili promesse elettorali. E forse si intuisce perfino qualcosa di più. Il suo suona come una sorta di modello alternativo di campagna elettorale, giocata su verità  che lasciano poco spazio alla demagogia ma riflettono il timore di illudere l’opinione pubblica su quello che accadrà  nei prossimi mesi. L’impressione, però, è che sarà  una scalata impervia e solitaria.


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